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venerdì, aprile 29, 2005
Born to Fight - Panna Rittikrai - 2004 

born to fight
Un poliziotto è in gita a consegnare dei pacchi umanitari in un villaggio sperduto. Arrivano dei terroristi (tutti con fazzoletto rosso, sti bastardi) che iniziano ad ammazzare tutti, il poliziotto rinvigorisce l'orgoglio nazionale nei paesani sottomessi e inizia così la rivolta. Un'unica macrosequenza. Questo è tutto.

In attesa di tom yum goong eccoci a parlare di questa piacevolissima parentesi.
Di arti marziali se ne vedono poche, ginnastica artistica e takraw (che è una specie di calciotennis tailandese) fino all'indigestione; nazionalista fino al punto di suscitare ilarità nello spettatore con gli occhi a palla (un tipo tiene per una buona mezz'ora la bandiera tailandese al vento fra raffiche di mitraglia e bombe a mano).
Ma chi non apprezza queste sfiziosità regionali non si lasci intimorire: c'è grande intrattenimento all'insegna dell'action: esplosioni e fiamme, un gran numero di persone fatte fuori a sangue freddo, gente che fa acrobazie senza motivo, dolore fisico (gli stunt subiscono pesantemente) e tante altre forti emozioni.
Ritmo veramente sostenuto, montaggio che si spezzetta quando si combatte a calci e bastonate (la scena coi tizzoni anche se è veramente ignorante non è stata imho sfruttata in tutte le sue potenzialità), mentre invece durante le sparatorie più articolate ci si concede dei longtake pressochè analoghi agli sparatutto arcade (tipo House of the Dead per intenderci) che rappresentano sicuramente le cose più interessanti dal punto di vista formale.

Mi sono divertito, pollice su!

I solidi sospetti Hellbly e Gokachu

giovedì, aprile 28, 2005
The Young Master - Jackie Chan - 1980 

young master
Per quel che ho visto Jackie è l'unico eroe del cinema di Kung fu classico che sancisce la propria superiorità marziale nella passività. Jackie non combatte....le prende con stile; solo l'ultimo combattimento lo vede vincitore, ma grazie all'effetto degli oppiacei....come con l'alcool di Drunken Master.
Combatte in modo evasivo, appoggiandosi al corpo dell'avversario, modulando la sua struttura sull'attacco del nemico, in modo da creare un'equilibrio fra sè, il colpo, l'avversario, la scenografia e il quadro.
La scenografia si trova ad assumere importanza centrale perchè regia e coreografie esaltano Jackie che combatte attraverso, con, sopra il set: difendendosi con le strutture e colpendo con ciò che ha sotto mano. Fingendo di piegarsi al mondo, se ne fa beffa rivoltandolo a piacimento.
La coreografia si mostra quindi come una serie di rotture e riconfigurazioni di un precario (istantaneo) equilibrio visivo e fisico: dove il folletto malefico limita i danni per sferrare il colpo d'opportunità non appena se ne presenti l'occasione.
Anche la narrazione è all'insegna della conciliazione; si combatte per ritornare alla situazione iniziale: odio e vendetta (e melodramma) sono praticamente assenti dal film.

Come ogni buon artista marziale passato dall'altra parte della cinecamera, sa che i combattimenti saranno tanto più potenti quanto più ne sarà rispettata l'integrità... Piani sequenza e mazzate in continuità per darci tutto il meglio della performanza...
L'accellerato e qualche altro formalismo risultano piuttosto fastidiosi al giorno d'oggi..

La sequenza iniziale con il duello fra dragoni (estetizzata al top) e il lunghissimo combattimento finale (tenuto su registro realista) lasciano di stucco. Il primo per la coreografia e la resa visiva, il secondo per la qualità del kung fu; veramente fra le cose migliori viste nel genere.

mercoledì, aprile 27, 2005
Hellevator - the bottled fools - Hiroki Yamaguchi - 2004 

immagine
Un megacasermone da 150 piani, ogni piano è un settore (livello abitazioni, negozi, prigioni evvìa evvìa) collegati l'uno all'altro attraverso ascensori.
Dentro uno di questi si trovano ad essere intrappolate delle persone, fra cui un paio di psicopatici....e iniziano a massacrarsi a vicenda.

Digitalbarocco e sanguinolento (la violenza esibita non si spinge poi così avanti....di rosso invece se ne vomita a secchiate).
Pochi sono gli input che il film ci dispensa per la decodificazione del suo mondo, ma chi se ne fotte, noi vogliamo vedere la gente che si scanna.
Proprio perchè il film se ne fotte di creare un'interrogativo sul quale poggiare la narrazione (l'inchiesta è un'espediente farlocco) e perchè preferisce ritirarsi su un'esibizione hardcore e trendy della violenza, questo film ha appagato la mia sete di sangue, intrattenendomi.
Le sequenze dell'inchiesta e quelle onirico/schizzoidi mi hanno lasciato dubbioso, ma scandiscono il ritmo e fanno metraggio...
Un finale crappyssimo che sembra quasi autoparodico (ma temo che non lo sia).

L'oggetto ascensore, e la rappresentazione dei suoi organi meccanici, delle ruote dentate e di tutte le leve da azionare per farlo muovere è stata la cosa che più mi ha deliziato... come se si fosse spruzzato un po' di Ubik sulla pellicola.

Gokachu e Hellbly

lunedì, aprile 25, 2005
Tutti all'attacco - Lorenzo Vignolo - 2005 

ceccheriniCeccherini è un allenatore ai margini, viene chiamato ad allenare una squadra di serie C.
Ma il suo ingaggio è in realtà parte di un piano (malvagio) atto a distruggere lo stadio (il mondo del calcio?) per gli interessi di qualche squalo. Con l'aiuto dei fratelli Wong tutti all'attacco (e del loro shaolin soccer) riuscirà a vincere il campionato.

Di film sul calcio in italia se ne sono fatti, e fin dai primi anni del sonoro, ma sicuramente pochi (una ventina? si arriva a trenta?) rispetto alla grandezza della passione calcistica presso il popolo italico.
Passione, che è minacciata secondo il film dagli interessi, dai miliardi (questo si ripete più e più volte), dalla tv...dal business (al quale nemmeno il protagonista alla fine riesce a sottrarsi).
Ma questo strano e antico filone del nostro cinema (il mio preferito è Paulo Roberto Cotechino centravanti di sfondamento) non è mai riuscito a imporsi come genere, non è mai riuscito ad imporre un'immaginario, tantomeno dei miti, forse motivo principe della sua prolifica sterilità....A questo giro non si riesce nemmneno a portare pubblico in sala.

Ed è un peccato, perchè a me il film è piaciuto, perchè mi ha fatto ridere;
Ok non mi ricordo nessuna batutta, ok le cose più divertenti sono turpiloqui e toscanità (campanilismo che ci volete fare). Il calcio giocato (che viene messo al centro) è ripreso per lo più da bordo campo, senza un vero e proprio lavoro di regia, il chè fa perdere qualsiasi coordinata spaziale e oltretutto quando si prova a fare Shaolin Soccer si rimpiange anche il doppiaggio fatto all'opera di Stephen Chow.

Ma:
Ceccherini tiene perfettamente la parte, sopratutto (e a sorpresa) nei diversi momenti drammatici, certo: se non si sopporta il personaggio sarà difficile da guardare, ma a vedenderlo recitare in un ruolo e senza la faccia di picasso mi ha fatto venir voglia di rivederlo (spero) recitare su questo doppio registro, dove sono le bassezze ad appoggiarsi al personaggio e non materia costituente (per quanto sia un estimatore del Ceccherini hardcore).
La sceneggiatura non sarà di certo fresca, ma regge bene quel poco che costruisce e sviluppa con coerenza l'idea che porta avanti.

Oltre al mondo del calcio è l'immigrazione (cinese) ad essere base del film, dove si invita costantemente a superare l'odio anticinese (che viene mostrato a vari livelli: da quello popolare fino a quello borghesindustriale), un'invito all'integrazione (anche se a nessuno dei 5 fratelli wong è concesso un primo piano..ma va bè..) con più di un'ingenuità ma anche con qualche battuta al punto giusto
"...o imparalo te il cinese visto che sei rimasto l'ultimo straniero del quartiere!"

Se la spiritualità del Kung Fu aveva bisogno della popolarità del calcio per tornare al top, qui è il calcio (l'italia?) ad avere bisogno della spiritualità del kung fu (i cinesi?) per tornare ad essere popolare (competitivo?).

giovedì, aprile 21, 2005
Survive Style 5 Plus - Gen Sekiguchi - 2004 

immagine
Fotografia con i colori di plastica, barocco, ma fino ad un certo punto, nella regia, sembra promettere bene in principio.

Primo (ed unico al momento) lungometraggio per questo (a me) sconosciuto pubblicitario Jappo, la di lui professione si travasa nel film oltre che (ovviamente) a livello linguistico anche sul piano tematico: inserendo una pubblicitaria visionaria (alterego) fra le varie anti-storie del film. La quale dispensa frecciatine per conto del regista al mondo della pubblicità e offre allo spettatore (ritagliando siparietti nella diegesi) gli spot improponibili che gli vengono in mente, che purtroppo sono pochi di numero, visto che mi sono sembrati le cose più interessanti del film, e anche le più divertenti.
Ma dopo i primi quaranta minuti, dopo che ci siamo assuefatti all'impiastro di color correction, dopo che abbiamo capito che quell'aggrovigliolarsi di storie non avrebbe portato a nulla, e dopo che il film inizia a distendersi senza ci sia sviluppo alcuno (colpa del precedente mestiere del regista?), l'interesse viene a perdersi... e anche per coloro che vivono nel mito di Tadanobu Asano, vederlo ammazzare, seppellire e riammazzare per tutto il film la sua (?) ragazza non è poi così emozionante, tantopiù che vederlo in impermiabile puzza un po' di posticcio.

L'uso delle canzoni pop per ironizzare le immagini: "cum baby cum cum baby".
alla prima volta è carina
alla seconda dici..vabbè è un pubblicitario...che ci vuoi fare...
alla terza ti infastidisce
alla quarta avresti voglia di un telecomando.

I titoli di testa: colori, kenji e scritte a velocità folle. Davvero meritevoli di lode.
Ah, c'è anche una parte per Vinnie Jones, un killer spietato e un po' matto...come dite? Già visto anche questo eh?

Hellbly
(che arriva sempre per primo) è di tutt'altro parere.

martedì, aprile 19, 2005
One-Armed Swordsman - Chang Cheh - 1967 

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La sceneggiatura è solida e l'ingenuità di alcuni snodi alle prime battute del film è neutralizzata da una narrazione che rimonta poco per volta i pezzi di una storia che sembrava sfilacciata.

Jimmy Yu Wang è un discepolo del maestro Qi, ma è di umili origini, gli altri fratelli lo infamano. In seguito ad una colluttazione perde un braccio, imparerà delle tecniche segrete e con la sua spada mozza (mi permetto di affermare che tale oggetto è una genialata) divverrà lo Spadaccino Diversamente Abile.

Archetipo, e non solo per quanto riguarda il Kung fu movie.
Melodramma; generato dal kung fu, che è oggetto del film (una spada è una spada, non si accettano interpretazioni psicanalitiche da quattro soldi).
Solo quando l'eroe riuscirà a diventare il numero 1 nel Kung Fu potrà conciliarsi con il mondo, disimpegnarsi dagli obblighi di parentela e avviarsi così verso una vita bucolica in compagnia di una sana ragazza di campagna.
Il codice di comportamento degli antichi guerrieri, sebbene sia trattato in modo piuttosto nostalgico, più che nobilitare il protagonista, lo ingabbia nella società. Ma Jimmy Yu Wang, forte del suo pragmatismo marzialamoroso, combatte per salvare l'etichetta (e per sancire la propria superiorità) e solo dopo potrà vivere liberamente, non poteva fuggire, è questione di forma, e di skills.
Alle sequenze extramarziali viene dato ampio spazio è vero, ma questo non deve trarre in inganno, non siamo di fronte a Wuxia: perchè la performance è al centro della rappresentazione e, sebbene il montaggio sia veloce e i movimenti di macchina barocchi, ben poco è sacrificato alla fisicità, alla materialità delle mazzate.
Se poi si dice che è Wuxia perchè la traduzione è cappa e spada e qui si combatte con le spade beh...si va IMHO fuori strada.
Possiamo anche aggiungerci che in questo film possiamo trovare praticamente ogni strategia(stereotipo?) narrativa tesa a far scoppiare uno duello (es: i tipi che vanno a molestare una brava ragazza), non che il merito stia nell'aver usato formule ingenuotte, è che se prendete un film a caso di Kung fu classico troverete per forza di cose un pezzettino di questa pellicola, tanto per dimostrarne l'archetipicità.
La colonna sonora è praticamente priva di Fuh Fuh, parrà bizzarro, ma invece di tendere al realismo c'è il contrappasso straniante e distensivo (dovuto probablimente alla centralità che quegli effetti hanno nel cinema di arti marziali successivo) .

Il cinema di Hong Kong non sarebbe quello che è senza l'opera di Cheh.... il tipo d'eroe messo in scena, la regia, i temi...Tutto deriva da qui, non è originale da dirsi, ma è così.
Si potrebbe fare un'elenco dei registi influenzati/educati da Cheh, ma si firrebbe per fare una lista dei migliori registi di Hong Kong.

Angolo del Gossip: pare che Jimmy Yu Wang oltre ad essere stato campione di nuoto prima di diventare attore famoso fosse anche affiliato alle triadi.

sabato, aprile 16, 2005
Barking Dogs Never Bite - Bong Joon-Ho -2000 

cane
Un wannabe uniprof sottomesso dalla moglie sfoga la sua rabbia contro i cangnolini del condominio. Ha bisogno di 10000$ per pagare la tangente al rettore. Ma poi la moglie compra un cagnolino al quale vuole più bene che ha lui, ma solo apparentemente, infatti quando lui perde il cagnolino sarà costretto ad andarlo a cercare per pagare la tangente; sarà aiutato da un'altra outsider delusa.

Opera prima di Joon-ho Bong (quello dell'ottimo Memories Of Murders) , questo film mi pare dondolare costantemente fra il valido e la velleità.
Velleità per i continui bianchi bruciati degli esterni (e anche il resto della fotografia mi sembra spesso eccesivo), nel voler complicare la sceneggiatura anche quando non c'è necessità; c'è un certo gusto per l'incastro (in MoM funzionava grazie all'indagine su cui il film si srotolava) che oltre a evidenziare una certa ingenuità di plotting, sembra cozzare contro le piccole storie messe in scena (questo non vuol dire piccoli drammi). Oltre a questo, i colpi di scena e i punti di svolta li ho trovati piuttosto prevedibili.
Ma troviamo anche un'ottima caratterizzazione dei personaggi che, anche se le bacchettate alla società coreana sono ancora dispensate con sempliciottismo, riesce grazie all'eterogeneità delle forze messe in campo a sviluppare un'intensa tensione drammatica, e questo nonostante gli abusatissimi cliché che motivano i personaggi (la voglia di andare in tv, la ricerca di un posto fisso, il licenziamento ecc ecc).
A volte si viene un po' troppo incontro ai gusti dello spettatore (più per come si gira che per quello che si fa vedere), ma bastano un pugno di inquadrature a convincere che del talento c'è.
Le cose migliori del film mi sono sembrate le lungaggini e digressioni (apperentemente tali) che il regista si prende prima di far vedere un fatto (esemplare quando il vecchio racconta la storia di Boiler Kim), come se si volesse dire che i drammi del film sono parte di un incastro generale, una matassa instricabile di dolori paralleli.

giovedì, aprile 14, 2005
Dal Clavicembalo Oculare al Visual Plugin - the mini respwan 

Allora, secondo McLuhan la musica la possiamo intendere come un Medium Caldo, il monitor è senz'altro uno freddo.
Oggi, che la musica è stata dematerializzata, rimanendo su supporto ottico o binario, che ormai ogni dispositivo per la riproduzione di suoni è accoppiato ad uno per la riproduzione di immagini, ci ritroviamo sempre più spesso ad ascoltare musica guardando delle immagini (quando non è un semplice blu) che niente hanno in comune con la musica.
Basta spengere il monitor, o dare la priorità a quello che vediamo/facciamo rispetto alla musica che non c'è più nessun problema.
Ma quante volte ci siamo ritrovati a fissare un monitor vuoto senza ascoltare quello che sentivamo nel tentativo di fondere i due media?
Perchè siamo ipnotizzati dal suono(caldo) e allucinati dall'immagine(fredda) (parafrasando McLuhan), senza che i due stati di coscienza trovino una soluzione(questo lo dico io).
Ecco che allora arriva il visual plugin; il programmatore che non è nè realizzatore, nè ideatore, nè mezzo di quello che si andrà poi a configurare sul monitor, ma semplice selettore di colori e forme variabili che andranno a subordinarsi allo spettro dell'onda sonora, sarà il Dio D'Arte eXistenZaniano, crendo un videoflusso fatto apposta per ogni tipo di musica.
In questo modo il nostro occhio è ingannato, segue placido le immagini in movimento e il cervello è libero di mettere in background il lavoro di ricostruzione dei Pixel, senza preoccuparsi di trovare una corrsipondenza fra immagini e suoni (perchè un'immagine evoca sempre un suono, mai il contrario, Bresson) concentrandosi sulla musica, che può tornare ad essere fruita senza problemi ontomediatici.

Questa è la versione non accademica, non argomentata, cazzara, inutile del post che avevo scritto.
Qui anche il titolo perde di senso.
Che rabbia.
Oggi non leggerò né commenterò cineblog alcuno


Dal Clavicembalo Oculare al Visual Plugin 

questo doveva essere il titolo del mio post, che avevo appena finito di scrivere, ho pigiato su salva, e blogger mi ha salvato il documento vuoto.
Il post magari erano vagheggiamenti teorici senza valore dovuti all'esame che sto preparando. Ma con tutta la fatica che avevo messo per scrivere e per argomentare tesi improbabili almeno due infamate sui commenti le volevo leggere.

Bestemmie a ritrecine.
...sto ancora bestemmiando.

chissà se prima o poi il post avrà luce.
penso di no.

martedì, aprile 12, 2005
La banda del Gobbo - Umberto Lenzi - 1977 

MilianTomas milian in doppio ruolo, er monnezza, e il suo gemello criminale gobbo; er gobbo appunto. Gigione e smargiasso forse più del solito, Milian, che è anche autore dei trucidissimi dialoghi, riesce invece (forse proprio all'esuberanza del suo recitare e alla paternità delle battute) a convincere con disinvolutura a portare sullo schermo queste due macchiette(oltre che la gobba); quando c'è del dramma è mattatore della scena, quando c'è da esibirsi è prima donna. Questo in entrambe le parti. Un grande Milian.

Certo non si vada a cercare un qualunque tipo di attinenza alla realtà sociale, alla fedeltà delle location e a tutto quanto passa sotto il nome di "realismo". La spettacolarizzazione è portata al limite del budget, il che non permette grandissime cose. Inseguimenti, sparatorie, qualche siparietto, poco spazio viene concesso alle indagini, è un film criminale.Milian
La direzione è grezza ma d'effetto: le inquadrature coi faccioni baffuti con gli occhiali scuri che guardano il vuoto, succedendosi (i piani dei faccioni) uno all'altro prima dell'inizio della rapina, oggi è talmente "out" da risultare irresistibile (a patto che si sia predisposti). A dimostrazione che la regia sa il fatto suo (nel senso artigianale) c'è la tensione generata, rimasta intatta, è l'immagine ad essere ormai decaduta, divenuta vintage quanto le alfagiulia delle madame.

MilianSe in Calibro nove la dialettica postmarxista era tutta interna al potere, qui viene messa in bocca direttamente all'emarginato, al borgataro (nelle sue due versioni), il quale oltre a farsi costantemente beffe dei ps, si prodiga in filippiche antiborghesi da fottiilsistema (una scena sembra la versione coattona di alpacino sbronzomarcio al nightclub in scarface).
Questo taglio non salva certo il film da ingenuità e cadute di tono (soprattuto negli espedienti narrativi e nelle leggerezze di plotting), ma ha sicuramente il coraggio di parlare direttamente (all'interno di un prodotto accessibile) al pubblico che si rifletteva nei due personaggi; ammesso e non concesso che il pubblico del film fossero i ragazzi di borgata.
Si farà presto ad accusare il film di volontà pedagogiche (neanche troppo celate); ma dall'altra parte della barricata ci stava Maurizio Merli (che amo più di tutti) e qualcosa uno se la sentiva in dovere di fare no?

Un film calibro 38.



i soliti ministri col cappello tradizionale nero
forbidden city hat

lunedì, aprile 11, 2005
Qu'est-ce que le cinéma? 

André Bazin
Finito di [ri]leggere adesso.

domenica, aprile 10, 2005
La spada nella Luna - Ui-seok Kim - 2003 

Sword In the Moon
sword in the moon
La prima ora passa fra una spadata e l'altra, gran numero di movimenti di macchina a caso e montaggio frenetico irrazionale. Flashback gettati nel mucchio per complicare un po' la sceneggiatura, scritta coi piedi, che salta da un combattimento sanguinolento a dialoghi seriosi, sciocchini e soporiferi su intrighi politici e sicurezza nazionale.
Poi quando le linee guida si iniziano a delineare e il film acquista un minimo di compattezza la visione si lascia scorrere anche tranquilla, per arrivare ad un finale spremuto al massimo delle risorse, ma che di certo non fa uscire dal cinema soddisfatti.
La storia dei due amici militari che si ritrovano a combattere l'uno contro l'altro è quella delle due coree (lo confermerebbero i continui riferimenti sottotesto alla divisione, alla minaccia d'invasione, all'impossibiltà di un ritorno alla situazione precedente ecc ecc ... ... ).
Non si può lasciare morire il proprio fratello dissanguato (o qualcosa del genere) anche se sta dalla parte del torto(e questo viene espresso limpidamente dal film). Comunque si interpreti il finale (*SPOILER* dove il buono si mette a combattere a fianco dell'amico ribelle e cattivo/comunista*SPOILER*) questo è un film sulle contraddizioni, sul militarismo, sulla insanabile condizione coreana, nella ricerca di una lotta comune per una soluzione (e ho come l'impressione che a questo film una risoluzione armata non dispiacerebbe troppo).
Se si guarda il film cercando i riferimenti alla situazione Coreana può anche andare, altrimenti guardarsi bene dal farlo.
Colonna sonora invadente e un colorisimo Hero-ico che non disturba, costumi discreti.

Sicuramente migliore del film era il trailer proiettato ante dell'obbrorio di cui ho appena scritto. Il film in questione, quello del trailer, è ormai diventato una leggenda, quindi cercherò di non pronunciare quelle due paroline che già vi frullano per la testa, vi posso solo dire che: per chi temeva la longa manus del censore (io non ero fra quelli) il trailer di tale pellicola conteneva:

un tipo che mangiava un polpo crudo
uno a cui venivano staccati i denti con un martello
uno che prendeva a martellate della gente in un corridoio
altre violenze.
Il tutto montato con ritmo da action movie più maraglio.

Il 6 maggio inzia la vendetta.
"il film che avrei voluto fare" Quentin Tarantino.

Presentato forse un po' troppo pulp (giustamente?..mah) per ciò che in realtà il film è. Cmq le reazioni dello scarso pubblico in sala sembravano buone.
Il doppiaggio non sono riuscito a capire se sarà accettabile, o se ci sarà da gridare ancora una volta allo stupro testuale.

Se ancora non avete capito di che film si tratta...il 6 maggio andate al cinema a vedere un film coreano, cambieranno parecchie cose in voi.

venerdì, aprile 08, 2005
Master of the flying guillotine - Jimmy Yu Wang - 1975 


1750 circa. La dinastia Ching invia un monaco buddista cieco e spietato, specializzato nella ghigliottina volante (una specie di casco lanciabile mozzatesta) a uccidere i ribelli.
Obbiettivo N°1 è il boxeur da un braccio solo, grande maestro delle arti marziali Jimmy Yu Wang.
C'è un torneo all'ultimo sangue fra le varie discipline marziali, che occupa gran parte del film, e che andrà a investire con il senso della sfida fine a se stessa(fra i caratteri, fra le scuole di combattimento) ogni singolo duello extratorneistico.

La regia (che è dello scrittore/attoremarzialeprotagonista) è di derivazione chehiana, quindi se c'è da ricostruire o da evidenziare con la Mdp non ci si tira indietro, se c'è da far camminare qualcuno sulle pareti e fargli compiere salti mortali icarici non ci si tira indietro.
Ma queste marginali concessioni effettistiche vengono contrastate costantemente dalla fotografia, dalla messa in scena dei combattimenti (che vengono giostrati spesso e volentieri in modo veramente raffinato sui semitotali e sui campi lunghi) e dai piani sequenza di scene di non combattimento. queste strategie della messa in film sono tese tutte ad una rappresentazione più neutra e naturale possibile, tant'è vero che le marche espressionistiche (come i flashback virati al violaacido), seppur sparute di numero, risultano assai fuori luogo.

La grandezza del film sta per me, più che nella qualità del kungfu e delle coreografie (entrambi di grandissimo valore e varietà), più che nella regia, più che nella scelta hardcore di dedicare ampissimo spazio al torneo (quasi quanto ad una competizione delle prime serie di dragon ball) e di costruire il resto del plotting come un continuo di esso (quello che conta è sancire la superiorità della propria scuola/ideologia su di una scacchiera geopolitica).....dicevamo...più che in tutta quella roba che ho detto, per me il merito del film sta nella gestione che fa Yu Wang di una trama vermaente minimale, che dispensa col contagoccie input allo spettatore, gettandolo nell'incertezza riguardo alle qualità morali dei personaggi(quelle marziali si misurano in arena); Di consequenza i combattimenti (nonstop e neverending) acquistano una dose di tensione melò che viene aggiunta a quella filmica e marziale (non è l'amore, non è la famiglia; è l'appartenenza ad una certa scuola di kung fu/ideologica che genera scontro iperbolico fra passioni immutevoli e contrastanti).

Si discuteva sui commenti di questo post sulla parentela che lega il KungFuMovie (ma lo sapevate che l'audio originale di questi film era quello in inglese?...io no) al Musical, ora, tralasciando questa discussione (che spero continui in quel del giovancinefriulan), vorrei evidenziare il rapporto fra questi film e il cinema dei primi anni(come ha fatto più notare Kekkoz).
Questo per:
La netta supremazia dell'attrazione sulla narrazione (la performanza degli attori dura e cruda, sopra la coreografia, sopra la regia, sopra qualsiasi altro aspetto...come il treno bastava a se stesso qui il kung fu è come Nanni, autarchico...perciò Bruce Lee, semplicemente, è il meglio di tutti, lui del cinema non aveva nemmeno bisogno, lo trascendeva).
La natura fortemente melodrammatica di questo genere, attestata oltre che dai contrasti insanabili e dalla natura unidirezionale dei personaggi, viene sancita anche da una recitazione enfatica e ammiccante, che può fare tranquillamente a meno delle battute di dialogo, pantomimando nell'azione l'emozione, indicando con un gesto le proprie intenzioni, sancendo qualità con la fisiognomica.
Il ricorso frequente allo slapstick che; (sopratutto nelle commedie kungfu, ma anche in questo film ne possiamo trovare di esempi) non è inserito come citazione gratuita o per aumentare il metraggio, ma un'utilizzo così massiccio e diffuso afferma che lo slapstick era sentito, apprezzato e richiesto per tutta la catena produttiva.
Varie ed eventuali.

Tornando al film vorrei limitarmi a citare il duellante indiano maestro dello yoga (l'interprete cinese tinto di marroncino fa parecchio yankee che recita l'indiano nei film western) che allunga le braccia come Dalsim (quello di street fighter) in un'abilità se non realistica (ma su cui la regia svolge un'ottimo lavoro ottico e di piani per nascondere il trucco) è sicuramente davvero divertente; quello tailandese con i calli ossei sugli stinchi è cattivo come pochi... e poi un monaco shaolin (che assomiglia a pai mei)recitare nella parte del villain non è poi così comune vederlo.

Questo è il secondo episodio di una serie spinoffata dal one armed swordman di Chang Cheh (sempre con Jimmy Yu Wang, film (quello di cheh) che ha dato il via a tutto il genere.
Mi stupisco della grande liberta con la quale sembravano accostarsi al cinema, un attore poteva cambiare casa di produzione portandosi dietro il titolo, l'immaginario, lo stile di regia, dando vita ad un nuovo serial, che sarebbe stato nuovamente copiato e rivisitato da altri.
Ancora una volta un'industria culturale che si dimostri capace di copiarsi, di rubarsi temi, personaggi e situazioni senza preoccuparsi della proprietarietà delle idee di partenza, è un'industria che sviluppa e incentiva la creatività.

mercoledì, aprile 06, 2005
Supersize Me - Morgan Spurlock - 2004 


Morgan Spurlock si nutrirà per 30 giorni solo con del cibo di Mcdonald, tre menù supersize al giorno. Per provarne gli effetti disastrosi sulla salute (inciccionimento senza ritegno, fegato marcio, disfunzioni erettili, malditesta, spossatezza, ciccionbontempismo, arterie e coronarie lustrate di burro...ecc ecc), e convincere chi guarda a non mangiare più nei fastfood e a vivere in modo più sano e chi vende panini a farli un po' meno merdosi....
Peccato che il taglio scientifico (i check-up e referti medici vengono alternati alle gozzoviglie yankee) vada ad offuscare la componente ludica e provocatoria(presente ma soft) che poteva dare una ventata di freschezza al documentario militante (di cui questo film fa parte).
Forse lo shock era l'intento, e la comparazione fra cibo da fastfood e eroina riesce anche a questo scopo, per bacchettare l'america intera sui propi stili alimentari e sociali.

Grassi nei hai?

La grassità è uno stato alterato di coscienza, malattia sociale da combattere al pari di alcool e tabacco.
La tesi è proposta attraverso la successione del ciclo tipico della tossicodipendenza (euforia-fattanza-crisiastinenza-redenzionemomentanea)ed è convalidata dalla presenza mutante (si trasforma in un Mczombi) del masoregista nel proprio docu-esperimento, strategia che non fa una piega a livello teorico, ma per chi come me non mangia già in quei posti è difficile percepirne l'efficacia su un mangiapanini americano medio.
Anche se, visto che Mcdonald pare abbia smesso di commerciare i Supersize menù dopo la vittoria al sundance di questo film come miglior regia, non si può che costatarne l'impatto che ha avuto sulla popolazione (e conseguentemente sulle corporation).
Come documentario non è rivoluzionario, né incredibilmente divertente o esageratamente marcio (come lo speravo)....però se avete un vostro amico che si ciba da MC invitatelo a vedere il film...forse smetterà di mangiarli....
A me, che MC lo disgusto..ha fatto venire un gran voglia di mangiarli, niente di reazionario o sentimenti rancorosi verso il film, è solo che vedendo mangiare sempre e solo panini di Mcdonald un po' di fame chimica viene no?

Non essendoci stato scritto nulla (o non avendo letto ma poco cambia) su trovacinema, mi sono recato presso il cinema rialto di bologna, dove ho scoperto che era un'anteprima per soli invitati, presentava l'associazione slowfood..e sono entrato perchè la maschera ha avuto pietà di me....e anche gratis.
Ti ringrazio maschera amica.


lunedì, aprile 04, 2005
Bottle Rocket - Wes Anderson - 1996 

bottlerocket
Quattro amici, vogliono vivere una vita da rapinatori, ma il loro infantilismo e l'amatorialità dell'impresa tira verso il tragicomico con esiti davvero pregevoli.

Inferiore (ma davvero godibile) rispetto agli altri lavori del regista, è un'opera prima affatto densa di stile, stile senza eccessi, che privilegia la staticità e distilla i primi piani, dove i colori accesi e decisi hanno una funzione sintattica.
Melanconico nella distanza fra i personaggi e la mdp, Anderson riesce a farci empatizzare con le sue creature grazie ad un'ottimo lavoro sugli attori ed un'accorta selezione delle location e la già citata foto-colori-grafia.

I personaggi, ancora una volta adulti noncresciuti, sognano un mercoledì da leoni che non arriverà mai, al massimo il carcere, per gli altri rimane il disagio di vivere da bambino in un mondo di adulti, dove l'unico possibile chillout è l'amicizia e il sognare.
Oltre che esordio di Anderson, questo è anche la prima prova di Owen Wilson (che è anche co-sceneggiatore e amico del regista), si sente infatti in tutta l'opera (oserei dire malgrado la tecnica e la maturità messe in campo) una forte carica di spirito amatoriale, l'entusiasmo col quale questo film è stato fatto traspare ad ogni shot, è la storia di di due amici che hanno voluto credere in un sogno (come gli sfigati dei personaggi di questo film)...e che, fortuna loro, sono riusciti a coronarlo.
Questo entusiasmo forse non fa troppo bene all'alone melanconico della pellicola..ma è una piccolezza.
Merita soprattutto perchè poco dopo Pulp Fiction, fare un film di gangster atipici, e farlo in modo originale, era davvero impresa non comune. Regia e dialoghi minimalisti, anche la scena della rapina, che era un quadretto perfetto per un finale Tarantiniano, viene disinnescata in modo ingegnoso e incredibilmente divertente.
Se si ama Anderson è da recuperare (come Rushmore).

venerdì, aprile 01, 2005
Rushmore - Wes Anderson - 1998 


Max Fischer, uno studente che svolge praticametne qualsiasi attività extrascolastica immaginabile in una scuola chic (ma prediligie dedicarsi alla regia teatrale, adattando anche Serpico), andando però di merda nelle materie vere, si innamora di una professoressa, della quale anche Bill Murray magnate dell'acciaio, benefattore della scuola e figura paterna per Max si innamorerà. Si instaura così una lotta infantile fra il giovane e la figura paterna (sempre presente in Anderson) per il possesso della femmina.

Questa volta si rinuncia ad un'ampia coralità per concentrarsi sui tre personaggi principali, affrontando l'intimo delle loro esistenze, rimanendo però maliziosamente sulla superficie, una storia solida, dove le tappe del racconto (e dei personaggi) sono scandite dall'aprirsi e chiudersi del sipario, quasi a sancire l'artificiosità delle vite dei protagonisti, in un mondo dove i bambini si comportano da adulti e gli adulti sono lungi dall'essere maturi, dove già qualche piccola surrealtà si lascia già intravedere a commento di un disilluso e cinico sguardo sui passaggi di età, dove l'happy end (che viene in seguito a un'iperrealista piece teatrale sul vietnam dove tutti si riconciliano) è volutamente posticcio.
Il film è troppo amaro perchè si possa credere a quella risoluzione, lo sguardo distaccato della mdp rende i personaggi soli, disperati, Anderson ce li mette di fronte ai nostri occhi senza difese (mancando qui la coralità centrifuga dei tenenbaum e il meccano acquatico) e per questo ci sentiamo subito vicini, subito ne condividiamo la fatica di affrontare la Vita.
Quello che più mi convince è la capacità di Anderson di parlare di rapporti familiari in crisi, di struggenti passioni irrisolvibili, della ricerca di un'identità (di un padre, di una posizione sociale, di un ruolo,) in modo piacevole e divertente, senza diminuire la portata del dramma. Semplicemente, il dramma, non lo fa sentire mentre lo so si guarda, lo passa inframuscolo, rintontendo lo spettatore con la patina di una copertina lucente.
I Colori erano già belli decisi e luminosi, ma ancora il meglio doveva venire.
Si respira autobiografismo.

Qui si iniziava già a parlare di pesci e immersioni, ottimo Murray, ma non come in Zissou. L'ho preferito ai tenenbaum, ma non alle avventure.

MurdaTown
 

alfa


Smargiassi
 


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