
Si comincia vendicando la figlia uccisa, si intuisce (visto il montaggio ellittico e centrifugo che torna su alcuni fatti, ma ci lascia all'oscuro su altri) che il rapporto con la moglie è stato distrutto da quella tragedia, il lavoro d'ufficio, la città alienante (presi a metafora della società giapponese) lo attanagliano, cerca una via di fuga. Quando incontrerà un suo vecchio amico diventerà un piccolissimo yakuza di una piccolissma gang, e sarà messo a timbrare documenti.
Dell'ironia così forte e continua non l'avevo mai vista in K. Kurosawa, si anche Doppleganger era fortemente ironico, tuttavia mi sembra che qui la concentrazione e la diffusione dell'ironia sia maggiore e l'ho trovata anche più divertente.
E' difficile che ci si avvicini (fra il livido della fotografia e l'austerità del profilmico) alla faccia degli attori, Kurosawa è noto per i suoi campi lunghi, per i totali, qui oltre a quelli (che non mancheranno di soddisfare gli estimatori del regista) vi è anche una forte concentrazione di carrelli laterali usati anche con risvolti comici (una sorta di Sketch con il protagonista che cammina, la macchina di un boss e la macchina da presa che li accompagna, mantenendosi paralleli fra loro).
Ma sotto l'apperente vacuità narrativa e il commento ironico c'è una forte carica drammatica data dall'incipit, ma sarebbe meglio parlare di antefatto. Il protagonista è schiacciato fra il dolore per quello che è successo a sua figlia e l'inutilità e la sciatteria della "carriera" yakuza che ha intrapreso (forse per annegare le sue sofferenze? forse vuole una rivalsa?).
Il conflitto (interno al film più che al protagonista) investe con le sue conseguenze drammatiche tutte le successive sequenze; nonostante una narrazione ci sia, sia comprensibile e sia in più punti anche forte, K. utilizza il campo e lo spazio in modo straniante, per far e sentire a noi la portata del dramma e per poter fare lui un'ironia spietata e amara.