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martedì, novembre 30, 2004
Dell'immortalità, della simulazione e di altre pippe sul futuro del cinema. 

immagine
Immortel (ad vitam) - E. Bilal - 2004

Non mi aspettavo molto da questo film (premetto che non conoscevo Bilal e i suoi fumetti) , e l'ho visto per pura curiosità in merito alle tecniche realizzative. Ma al contrario di quello che mi succede di solito (dove il pregiudizio è confermato nel finire della visione) sono stato costretto a ricredermi. Non che il film sia un capolavoro o che sia immune da difetti, ma ritengo questo film estremamente sottovalutato.
Se nella trasposizione al film, gli ambienti e i personaggi di un romanzo verrnno sicuramente rappresentati diversi da come ce li siamo immaginati (senza che ne soffriamo più di tanto, visto che la nostra era una pura fantasia, e la delusione che ne deriva può essere paragonata a quella che si prova quando vediamo la voce di un speaker della radio) ma per il fumetto la questione è diversa, le immagini ci sono già date nella loro integrità e nel passaggio al cinema questa integrità sarà obbligatoriamente perduta a causa del necessario utilizzo di risorse fisiche (attori, macchine da presa, luci, hardware in una parola) che non potranno mai riportare la perfezione autoreferenziata di un personaggio dei fumetti, dove non c'è l'illusione di realtà in sè, ma siamo noi (la cultura) ad attribuirla.
Anche adesso la simulazione digitale è più vicina al disegno che alla fotografia, ma evitando quanto possibile (che è molto difficile nel mio caso) di essere utopici, possiamo credere che in un prossimo futuro sarà molto difficile distinguere riproduzione fotografica e simulazione digitale.
Per questo la decisione di utilizzare gli umani esclusivamente per le parti da protagonista (quello che manca ancora ai personaggi sintetici è una leggerezza nella mimica e nei riflessi, intesi come reazioni non controllate a degli stimoli esterni) , ma calati in un mondo completamente costruito in computer grafica, se a livello estetico non riesce a raggiungere incisività (ma ritengo che la causa di questo parziale fallimento sia dovuta alla differenza in termini di soldoni che questo film paga nei confronti di produzioni a budget altissimo; data la non eccelsa realizzazione pare che i personaggi siano usciti da un videogioco e questo porta fuori strada la percezione del film.) a livello teorico la scelta è senza dubbio da condividere. Utilizzare la simulazione per quello che l'occhio meccanico non può rappresentare, o rappresenta tradendo obbligatoriamente.
Bilal si erege a paladino dell'integrazione (senza dimenticare i problemi che questa comporta...in tutti i campi, come sottolineava Malcom X integrazione non è un bene di per se). Il film sembra continuamente rivolgere allo spettatore un'invito ad integrare, a mescolarsi, a superare le barriere culturali e formali, Emarginiamo gli alieni (nel doppio senso che qusta parola ha in inglese) in zone speciali, come la computer grafica è stata fino ad adesso relegata ai margini della cultura (ma sappiamo bene con quanta difficoltà un nuovo mezzo entra nell'olimpo dell'arte). Ma quello che mettiamo sotto, al lato (dopo [postproduzione]) e tentiamo di nascondere, di placare docilmente (utilizzandolo per esempio come in SKy Captain) emergerà dal sottosuolo in modo violento e incontrollato (9/11/2001) .
Ma non volevo soffermarmi sul lato politico del film (che finalmente porta tematiche di sinistra in un contesto ormai dominato dalla reazione) piuttosto parlare di come queste due anime del cinema contemporaneo(quella sintetica e quella fisica) in questo film siano (se mi si concede il gergo politichese) convergenze parallele. Intendo dire che (come nella storia del film) umano (il cinema) e divino/trascendente (la computer grafica .....perchè non legata ad un corpo) lottano fra loro per una supremazia, ma è appunto nell'esperimento fallito che sta il più grande merito del film. I due modi non si implementano l'uno nell'altro, rimangono distanti, non riescono ad unire i loro corpi, e ci si sente delusi come quando si è lasciata sfuggire una grande occasione. Il film (nei suoi intenti e nel messaggio che dispensa nel suo parziale fallimento) sostiene che non ci potrà essere il cinema del futuro (o semplicemente un cinema che prosperi) fino a quando queste due anime continueranno a lottare fra loro, e parafrasando il film, solo quando queste due anime sapranno fare l'amore e generare una nuova classicità si potrà parlare di qualcosa di realmente nuovo. Ma perchè questo accada c'è bisogno di una tecnica in grado di non far notare la differenza fra fotografia e computer grafica, che un personaggio di un fumetto o il frutto della fantasia più malata venga percepito come reale.
Poi ci sarà spazio per lo straniamento, per l'autoriflessività, per il confronto fra i due modi, ma adesso abbiamo bisogno di classicità, di stabilità delle forme, di sincera allenza, di collaborazione, di sviluppo...e di un vero capolavoro!
Mi si dirà che i lavori Pixar possono essere definiti tali, e sono daccordo, ma non li ritengo capolavori del nuovo cinema del computer, semplicemente perchè l'innovazione tecnologica non è supportata da un'adeguata innovazione delle forme, si riprende la vecchia classicità, aggiornandola con un tocco di riflessività e di autoironia, perchè come ha sottolineato Kekkoz dopo Shrek è ormai l'obbligo del metalinguismo.
La Pixar segue in tutto e per tutto la strada tracciata dalla Disney, si avvale di nuove tecnologie sì, ma senza curarsi delle altre (infinite) potenzialità che queste permettono.
Bilal (e mi viene da pensare sopratutto a Oshii) non si limitano ad usare le nuove tecnologie, ma lavorano, sperimentano, falliscono... per costruire un linguaggio che possa soddisfare le esigenze e le potenzialità dei due modi al fine di crearne uno realmente nuovo.
Infatti le potenzialità più grandi non vengono da ciò che si può rappresentare, ma dal come. La fisicità di una macchina da presa è una prigione per il modo di rappresentare (sebbene ritengo che la tecnologia sia comunque il vero confine che definisce i limiti della produzione culturale/artistica, un dipinto è così perchè si è usato un certo tipo di pennelli, di colori, di tele, la mano del pittore è libera solo entro quei confini e quelli della sua mente) .
E anche oggi, quando la corporalità della mdp potrebbe essere superata, lanciandosi in improbabili quanto inesplorati modi di muoverla e posizionarla, si rimane ancorati al vecchio modo di concepire il cinema. Penso che una delle vie più fertili vada ricercata nella sperimentazione dei tipi di inquadratura e di movimenti che si compiono quando si gioca ad un videogame in 3d; movimenti leggeri, spesso irrazionali e che si basano tutti sulla forma sferica e sul posizionamento del personaggio di gioco (e quindi di noi stessi) non al centro della rappresentazione, ma al centro del mondo. Se nel videogioco i movimenti irrazionali attorno al giocatore siano non solo innocui e divertenti, ma anche necessari per vedere sempre quello che più mi interessa (e quindi mi permettono di non morire) nel cinema questa funzione è totalmente sterile (perchè non siamo noi a decidere cosa vedere), e appunto per questo motivo riuscire a creare un linguaggio che attribuisca un senso a questi nuovi modi di rappresentare è di fondamentale importanza (e questo perchè le nuove forme non vengono dal cinema, appartengono a qualcosa di totalmente diverso, con finalità e metodi diversi, ma entrambe le forme hanno saputo fare dell'elasticità e della capacità di mangiare (e sopratutto di cacare) le altre serie della cultura che le circonda).
Ed è quello che ha provato a fare Bilal, quello che è parzialmente riuscito a fare Oshii nel suo Avalon.
Spero che la fusione fra Cinema e Computer Grafica avvenga nei termini di un reciproco scambio, lasciarsi alle spalle sia il cinema tradizionale sia il videogioco (che è quanto più vicino al cinema possiamo trovare nella computer grafica) . Non intendo dire che questi due medium si fonderanno, scomparendo l'uno nell'altro. Ma che una terza via non solo è auspicabile, ma necessaria per rappresentare in modo dignitoso e fedele un fumetto, un videogioco, una fantasia malata.

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