
Se siamo capaci di guardare oltre i limiti di un drammone sentimental-moraleggiante che oggi può far sorridere, scopriamo un film dalla costruzione spazio-temporale veramente singolare, le sequenze si succedono ora mettendo a fuoco un personaggio ora l'altro, alternando parti realistiche ad altre fantastico-surreali al limite dello sperimentale (in gran parte del film ci sono personaggi-fantasmi che recitano in sovrimpressione/trasparenza) . La narrazione procede a scatti; ora si va avanti, poi si torna lungamente indietro, si vanno ad indagare aspetti secondari (in prima impressione) che andranno poi a sviluppare il nucleo dell'insegnamento che il regista voleva impartire. Una vita semplice e senza eccessi è una vita felice. E solo da questo punto di vista che il film si lascia guardare.
Sarà azzardato, ma nel modo di costruire questo film ho trovato il modo di produzione fordista, pezzi singoli assemblati uno dopo l'altro per formare un'oggetto omologato e universalmente percepito allo stesso modo. Pulp Fiction è interpretato come simbolo del postfordismo [l'alieno e il pipistrello - G. Canova] (nelle sue storie fondamentalmente autonome le une dalle altre, senza che ci sia una morale e un'ideologia meditata e inoculata, i concetti sono dispensati in modo "leggero" [al contrario della classicità e del modernismo...che era molto HardWare]...ma anche di Pulp Fiction troviamo delle interpretazioni moraliste (cercatele in rete, sono molto interessanti) che separerebbero PF da Il carretto fantasma solo per il diverso uso che fanno delle sequenze, in PF meno pedagogiche, ma forse non meno morali (ma dubito che Tarantino lo abbia fatto per moralizzare il suo pubblico, forse più per divertisment)....noi siamo i deboli nella valle delle tenebre e l'unico modo di salvarci è fare una vita dalla condotta morale impeccabile.
Ma non solo...nel continuo passaggio fra realtà e fantasia, lunga è l'influenza (inutile sottolineare quella avuta sui surrealisti) che questo film ha avuto, IMHO fino a 2001, Cronenberg e Lynch.