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giovedì, marzo 31, 2005
Talking Head - Mamoru Oshii - 1992 

...
siamo andati completamente a ruota libera fino ad ora, non penso che un'ending ordinario sia possibile.

Non avrai mica intenzione di usare la decostruzione, la metafiction e tutta quella roba postmoderna?

Scusa, ma sembra proprio che ci troviamo in questa situazione."
...


Un regista "fantasma" viene chiamato a sostituire (senza che si noti la differenza) il vero regista del film, che è misteriosamente scomparso.
Il problema è che del film ancora non è stato fatto nulla!
Assistiamo ad un folle making off di un anime, non vediamo mai disegnare, le tappe che scandiscono la nascita di un anime vengono affrontate tutte per via teorico/critica, perchè si può parlare di un film solo dentro ad un film ambientato nel teatro dove il film si sta effettivamente facendo, teatro in cui avvengono anche una serie di omicidi seriali che colpiscono le maestranze del film che si sta facendo.

Per Oshii il film vive nel darsi a vedere e si fa vedere (sempre) nel suo farsi.
Con il suo stile verboso e didascalico affronta le tappe (in modo assai competente) dell'istituzionalizzazione del cinema, criticando aspramente l'evoluzione narrativo/realista, ma consapevole dell'impossibilità di cacciare il realismo dal cinema.
Vengono presentate (cioè se ne disquisisce all'infinito) come accidenti funesti l'avvento della trama, l'uso appiattito del colore (che ha perso la sua funzione grammaticale e onirica) e il sonoro (forse anche altro ma ora non mi viene), macigni che hanno bloccato la possibile evoluzione simil-anime del mezzo.
Una lettura della storia del cinema per niente banale e mai abborracciata, un manifesto di poetica che al tempo stesso è un saggio di teoria.

Oshii arriva a dosare e contestualizzare come non gli era riuscito nei due live action precedenti la decostruzione la contaminazione con il cartone animato la riflessione sul mezzo. Utilizza scenografie povere e stranianti. una fotografia calda e espressionista.

Perchè limitarsi alla nostra realtà quando i film come gli anime vanno a costruire una realtà altra, che non è obbligata a sottostare alle leggi del nostro mondo, ma solo ed unicamente alla volontà del regista, che è impossibilitato dalle contingenze del mondo reale ad avere un completo controllo sulla realtà che andrà a creare, che quindi sfuggirà alle sue volontà.
Il film quindi è un essere vivenete autonomo e autoarchico

E il regista del film (di quale film? quale regista?)uccide i personaggi del film per vendicarsi delle ingerenze del reale sulla fiction.... e ci fa anche una ministoria dei pionieri del cinema che sono morti, impazziti o caduti in rovina a causa del mezzo (davvero interessante). Uomo-film/umanità-cinema, si uccidono l'uno l'altro per sopravvivere.
Murda MovieZ RuleZ



Il Film E'

Oshii sostiene che negli anime (dove tutto può acquistare vita e mutare in altro) i personaggi sono entità senza corpo, generate più o meno casualmente dal mare dell'informazione (la realtà/il farsi stesso di un film).
Qui ci troviamo di fronte ad una sorta di portale per tutto l'Oshii successivo; porta che per altro è praticamente sempre presente nel profilmico quasi a voler marcare l'arrivo ad una soglia nel proprio cinema, dopo due prove non perfettamente riuscite, finalmente il minestrone della sua poetica è maturo per i capolavori successivi.

I film sono un'altra forma di esistenza (eXistenZ).
Ci possiamo quindi sbizzarrire con una rilettura di Ghost In The Shell in chiave metacinematografica, dove Oshii profetizza per il cinema una RInascita (in questo Talking Head fa l'anime del treno Lumiere) che assecondi la sua vocazione autarchica e fantasmatica, andando anche a polemizzare su quanti marginalizzano gli anime in quanto non sarebbero un calco del reale, poichè per il semplice porsi di fronte ai nostri occhi, il film vive.

"...Esistono solo due tipi di critici, quelli che guardano gli Anime e quelli che non li guardano..."

E quanto il cinema di Oshii abbia influenzato il rapporto tra cinema-fumetto/videogioco/effettiirrealistici è ben visibile dalle megaproduzioni americane fin giù alla Corea, se il cinema di oggi sta tornando ad assomigliare ad un'allucinazione, ad una baracconata, è anche grazie ai suoi film, all'uso che ha fatto delle tecnologie digitali (Avalon per me rimane una delle cose migliori mai fatte nel settore), alle tesi sostenute nei film.

Quello di Oshii è cinema Rivoluzionario.

C'è anche uno spassoso cameo di Kenji Kawai, che viene licenziato dal regista perchè dice che la musica rende le immagini assoggettabili ad un'ideologia, e attraverso l'uso immagine/musica lo spettatore è facilmente corruttibile.

Forse era già tutto in Lamù - A beatiful dreamer.

mercoledì, marzo 30, 2005

katakuris
Capita che amici completamente a digiuno di cinema asiatico ti chiedano di portare un film per la serata...fra la roba grassa che avevo preparato la scelta è caduta sui Katakuri.
C'è chi si è addormentato, chi non riusciva a capire come vederlo (ma devo ridere o prenderlo seriamente?), chi ha semplicemente detto "che figata di film", chi ha interrotto a metà, chi si è fatto quattro risate senza preoccuparsi troppo...

Per conto mio, se c'era qualche timore di un "ridimensionamento" alla seconda visione, è stato completamente dissipato da una caratterizzazione e contestualizzazione che regge un film che sulla carta sembrerebbe insostenibile; da sotto la massicciata comico-grottesca emerge uno dei migliori (e spietati) Miike.

Questa volta la mia canzone preferita è diventata il duetto marito-moglie fatto al karaoke....

"I nostri cuori gentili e sinceri
ci confortano"

martedì, marzo 29, 2005
Mad Monkey Kung Fu - Chia-Liang Liu - 1979 

immagine
Un artistamarziale dell'opera cinese e maestro dello stile della scimmia viene ubriacato e ingannato da un ricco e potente malfattore locale, che gli frantuma anche le ossa delle mani per neutralizzare la minaccia da lui rappresentata.
Il nostro eroe si ritrova così a organizzare per strada spettacolini con una scimmietta, ma gli scagnozzi del boss non gli danno pace e gli ammazzano anche la scimmietta. Così addestrerà un giovane trovatello al kung fu e insieme libereranno la città dal cattivo. Moralina perbenista.

Fin dal prologo, che si apre su uno spettacolo di opera cinese (che spesso viene filmata nel genere in questione), c'è un continuo alludere alla situazione spettatoriale. La gran parte dei combattimenti avvengono in presenza di un pubblico, quasi a voler affermare che:

Il principale obiettivo del Kung fu movie è intrattenere.

Il Kung fu Movie è il sequel dell'opera cinese (che era uno spettacolo popolare e da taverna), non soltanto per le coreografie e le arti marziali, l'importanza degli effetti sonori è notevole, qui non siamo di fronte ai bush bush di Bud Spencer, qui i vari fuh fuh dei tricks e i tshink tshink delle armi vanno a comporre dei ritmi, delle sinfonie marziali.

Il KFM è anche strumento per salvaguardare le proprie radici (dobbiamo ricordarci quello che era successo ai monasteri shaolin e al teatro tradizionale durante la rivoluzione culturale).
immgaine
Diretto in modo quasi sempre impeccabile (un paio di incertezze in alcuni "atterraggi" dopo giravolte miracolose) si distingue per la straordinaria qualità del kung fu e delle coreografie (alle volte si fa fatica a capire quello che fanno da quanto vanno veloci i performer) per l'ottima gestione e originalità nelle sequenze di allenamento (a cui viene dato ampio spazio...del resto è il regista di 36th chamber), una gran cura nelle scenografie e anche la storia, che, seppur ridotta al minimo e lineare al massimo per dare tutto lo spazio possibile alle arti marziali, regge bene i caratteri dei personaggi, le commistioni di genere(c'è un bel po' di comedy) e gli sviluppi narrativi, costruiti quasi sempre attraverso l'uso del kung fu, quest'ultima è cosa non da poco.
Da notare anche l'uso di alcuni ralenti, non molto frequenti nel cinema di KF di allora, che non intaccano la "naturalità" di un combattimento ma vanno a esaltare ogni tanto un salto mortale.

Il combattimento finale strabilia.

Una sorpresa, non me lo aspettavo così bello.

domenica, marzo 27, 2005
Robots - Chris Wedge - Carlos Saldanha - 2005 


Un robot è figlio di un lavapiatti che non può permettersi i pezzi-crescita nuovi di fabbrica. Così si ingegna hobbistainventore, e sogna di andare a Robotcity e conoscere il padronebuono, che da lavoro a tutti, la cui industria produce robot e pezzi di ricambio.
Ma una volta giunti a Robotcity il nostro sbullonato (oddio) protagonista si accorge che la realtà è un'altra, a capo dell'industria c'è un pescecane postfordista, il quale vuole sostituire i ferrivecchi con i nuovi modelli (costosissimi), sicchè il nostro culo di rame (non tradotto in un più anonimo copperbottom) eviterà a Robotcity gli eccessi da capitalismo selvaggio e facendo capire a tutti che il sogno americano è sempre possibile e necessario.

La fisica è perfetta, occhio di riguardo per il particolare, sbalorditive le texture (non avete idea di quanto dannatamente siano realistici i riflessi e le sgrattugiate di ruggine sul metallo)...niente che faccia gridare alla rivoluzione, ma davvero un gran bel lavoro, il problema è che mi sono stufato di vedere cartoon fatti al PC (e questo vale anche per la pixar) e sapere che così tante risorse (e denaro sonante) siano state sprecate.

Il film è inesistente, una serie di inseguimenti che vorrebbero assomigliare alla sequenza delle porte di Monster & Co., ma che si succedono senza fare presa sullo spettatore e senza divertire.
Le battute poi sono una vera tristezza, quanto di più trito e stereotipato vi possa venire in mente sui robot e ingranaggi farà la sua brutta figura in questo film (non ci ridevano neanche i bambini, che limitavano la loro ilarità alle scene slapstick).

Dispiace perchè l'idea poteva funzionare (anche se dopo Futurama non c'è vittoria e non c'è conquista in campo roboparodico), perchè all'era glaciale gli abbiamo voluto bene tutti e perchè la CG è veramente potente (meglio degli incredibili IMHO). Ma il film manca tragicamente di ispirazione e di gag, di plotting, di comicità.

Bisogna essere psicolabili per far doppiare un film a Dj Francesco, non ha skill, non ha espressioni...non sa nemmeno dire che ci sta dentro.

E c'è una cosa che proprio non ho digerito....il protagonista si fa la robofemmina dirigente di industria invece che la robopopolana, quando il film giustificava molto di più la seconda...mah.

venerdì, marzo 25, 2005
Rosa Luxemburg - Margarethe von Trotta - 1986 

rosa luxemburgRosa Luxemburg e il suo privato, i suoi amori, i suoi dolori, la sua psiche. La politica, la prigione, la scrittura. Fino all'esecuzine. La storia "segreta" della germania di Weimar.
Attraverso le lettere, gli articoli di giornale, i comizi e tanti tanti tanti dialoghi e monologhi il film va avanti noioso, mitizzando (carrellando sui proletari STACCO campi dal basso della Luxemburg) la compagna polacca nei pochi comizi che vediamo; poi veniamo subissati di parole; regia piatta, pittoricismo aberrante a tratti. Un pasticcio strascicato fra quello che voleva essere un'omaggio alla retorica rossa del tempo (o più probabilmente un'omaggio dell'ideologia attraverso la retorica visto che l'azione è ridotta a ZERO) e un'indagine antropsicologica su Rosa come donna.
Anche i filmati storici di repertorio inseriti a forza nella diegesi non migliorano la situazione.
Poi da come è montato e da quel che succede non si impara nemmeno niente sulla lega di Spartaco.
Perchè far vedere leggere e far recitare gli scritti di Rosa?

mercoledì, marzo 23, 2005
bzz bzz bzzz 

Sono tornato a casa per le vacanze di pasqua.
Sto guardando pochi film e non mi fa voglia di scrivere....

Oggi ho visto arrapaho, il film degli squallor, vale la pena citarlo solo per il fatto che penso sia da considerare (aspetto sonore smentite) come il padre dei doppiaggi demenziali, il film c'è, ma è ridotto al minimo, gli sketch (lo avrò scritto giusto sta volta?...penso di no) fanno cacare il cazzo e si sorride solo quando una voce narrante va a fare la didscalia delle attività delle tre tribù indiane, Gli Arrapaho, I Froceyenne e gli altri non me li ricordo....è veramente pessimo pessimo pessimo, non fa neanche ridere.

Cmq visto che ci siamo per chi ama i doppiaggi demenziali (oltre che guardarsi The Mission in italiano) non posso che invitarli a vedere la robba loro....mi stanno un po' antipatici, ma mi fanno sganasciare.

venerdì, marzo 18, 2005
Milano Odia: La polizia non può sparare - U. Lenzi - 1974 


Tomas Milian vuole il cash. Decide di rapire la figlia di un padrone, prendere i soldi del riscatto, uccidere la ragazza e fare il signore. Ma le cose non vanno come previsto, Henry Silva gli sta alle costole, ma siccome lo Stato non è forte l'ispettore dovrà fare giustizia da solo.

Violento.
Un Tomas Milian non ancora trucido/gobbo, sembra un tony montana, ma meno sobrio e provincialissimo; la parte è recitata male, ma proprio grazie alle incertezze e alle esagerazioni dell'interpretazione il personaggio acquista credibilità.
Lui è' un cacasotto (come lo definisce il boss) che ammazza per paura e per insicurezza, senza alcun briciolo di rimorso, esitazione, svago.
Henry Silva è un'incantevole faccia di merluzzo; il suo personaggio è quello del solito poliziotto fascistoide frustrato.
Milian raffigura le contraddizioni e Henry le Reazioni, francamente non sono poi così sicuro che il film stia dalla parte dell'ispettore (alla fine il suo è l'unico omicidio in cui si sente il peso della morte, e Silva è inquadrato in modo piuttosto minaccioso, molto più di Milian con il mitra che uccideva a sangue freddo tutto il film).

La storia va avanti senza tregua e senza perdere un colpo fra efferati fatti di sangue e prese per il culo (che non cadono nella caricatura) di tomasmilian a le madama; la regia si mantiene distante dalle vicende, anche in modo piatto, ma crea una bella dose di tensione e la violenza irrazionale e gratuita basta a sostenere la visione.

Che te lo dico a fare : la scena nella villa, dove Tomas costringe un ingegnere (se non sbaglio..o forse ragioniere..boh..ma è poi cosi importante?) a fargli un succhione, poi appende tutti al lampadario e spara raffiche di mitra...

Che cosa voleva? voleva tutto!

E' diventato il mio poliziottesco preferito.

giovedì, marzo 17, 2005
MPD Psycho - Takashi Miike - 2000 


Multiple Personality Detective Psycho: Kazuhiko Amamiya Returns

Un detective dalla personalità multipla, un assassino che si trasferisce da un corpo all'altro via linea telefonica o contatto fisico, progetti per il controllo globale e complotti di potere alla X-Files (che viene citato), donne incinte uccise a cui viene asportato il feto (sostituito da un telefono), altre a cui viene tagliata la calotta cranica per piantargli un fiore nel cervello, il misterioso rapporto che lega Lucy Monostone (un cantante rockpischedelico fallito diventato terrorista) agli omicidi commessi dalla personalità senza un corpo stabile (Nishizono Shinji) e il rapporto che lega questo agli altri più o meno bizzarri personaggi della serie e ai bambini rapiti, e a quelli con il codice a barre nell'occhio e ... e... e... ma non voglio rovinarvi tutto, questi sono solo alcuni degli ingranaggi della serie, ma penso che siano stati tutti elementi presenti nel manga di origine.

M
ultiple Personality Director Psycho : Takasi Miike

6 puntate da un'ora, sfilacciate e inconcludenti.
Il fatto che Nishizono Shinji trasferisca la propria personalità istantaneamente e ovunque [anche in un cagnolino robot] e spinga ad uccidere il corpo ospitante assecondando le pulsioni nascoste di quest'ultimo fa da pretesto per atrocità varie e dona una grande libertà di plotting.
Ma la legna è troppa e il fuoco ha finito per spegnersi.
Non è perché non si capisce una sega di come siano andate le cose; in verità si spiega tutto più di una volta e si intuisce fin da subito dove si vuole andare a parare, ma la serie non funziona perché solo in una puntata (la terza) si viene a creare quella spirale di tensione e curiosità insoddisfatta che regge le serie del genere; per il resto è come se il testo fosse affetto da schizofrenia; da una parte si tenta in tutti i modi di far capire in modo razionale e convincente come stanno le cose, dall'altra la conoscenza viene negata dall'eccesso, dal grottesco, dalla cervelloticità dell'intreccio, dalle troppe variabili, dalle troppe passioni messe in gioco, tutto ciò è sostenuto solamente da tre quattro idee di base (anche buone e molto prolifiche per il Miike successivo) e da alcune trovate suggestive (come la pioggerellinaverde in digitale nelle scene sulla ruota panoramica), ma che ripetute (idee e forme) per 6 ore senza che ci sia un vero percorso all'interno della serie fa si che il tutto inizi presto a girare a vuoto.

Ciononostante in certe parti il flusso sa conquistare come il Miike migliore, la recitazione di Ren Osugi (ha lavorato un sacco con K. Kurosawa e il nostro caro Takashi) convince e diverte, la crudezza di alcune immagini mi ha anche dato un certo fastidio fisico (per un serialtv....non dico altro). Per i fan è IMHO da vedere, una puntata ogni tanto.

Un incrocio fra Visitor Q e The Call mi verrebbe quasi da dire.

martedì, marzo 15, 2005
Vieni Avanti Cretino - Luciano Salce - 1982 

ed erano 8oo cittadini, 600 deputeti e 200 cretini...

Lino Banfi fa la macchietta in una serie di siparietti comici.

Niente storia, la regia si limita a mostrare (il che è anche un pregio del film) la stupidità(italianità) esacerbata.
Questa commedia poggia (quasi esclusivamente) sulle precarie basi del doppio senso e dell'equivoco; e noi si va con Lino Banfi alla ricerca di un posto di lavoro (preferibilmente grazie ad una raccomandazione su scudo crociato) nell'italietta uscita dagli anni di piombo.

Alla fine il regista è pur sempre quello di Fantozzi, e l'occhio cinico col quale ritrae il forzista/crociato medio va anche a far satira sui nuovi (per l'epoca) (a)tipi di lavoro, sull'informatizzazione ecc ecc (il neoliberismo che è giunto fino per farla breve); tutto ciò nella sequenza dove il padrone richiede a Banfi con grande cortesia e straniante dileggio di compiere una gran quantità di operazioni distinte, sconnesse, semplicissime, assolutamente insensate. (è forse anche l'episodio meno divertente del film, colpa probabilmente di poca originalità nella resa e di una carenza attoriale).

Divertentissimo IMHO l'episodio dove Banfi scambia uno studio dentistico per una casa d'appuntamenti (iniziando un dialogo memorabile con Gigi Reder [...ehm...Filini di fantozzi ] giocato tutto sul doppio senso dente/membro otturazione/penetrazione), la canzone che LinoBanfi canta in itagnolo (sembravo io all'esame di spagnolo) vestito da ballerino di flamenco è esilarante; altre cose sono più datate, ma nel complesso fa ancora parecchio ridere...

Il film si apre sui cartelli "Marlon Brando" "Bo Derek" "John Travolta" -__-

...quando uno è scemo è scemo pure nel perù.

lunedì, marzo 14, 2005
Ti accorgi che forse stai esagerando quando: 

A lezione i professori parlano di capolavori del cinema occidentale; non li hai visti, ti senti in colpa, li guardi, ti annoiano.

Stai sognando in giapponese. Ti svegli, ma sei ancora in un sogno. Questa volta parli cantonese.

Faresti fare da un chirurgo estetico gli occhi a mandorla alla tua ragazza.

Provi a mangiare la pizza con le bacchette cinesi.

Vai in giro con due pistole di plastica e te la bulleggi come se fossi Chow yun-fat puntandole in faccia alla gente.

Ti piace la musica commerciale giapponese.

In preda ai fumi dell'alcool provi a fare lo stile dell'ubriaco; pensi di farlo bene.

domenica, marzo 13, 2005
Dragon Gate Inn - King Hu - 1967 


Nel solito medioevocinese, con le solite guerre per il potere una ragazza deve andare in esilio; raggiunge una locanda sperduta, dove c'è un mucchio di gente, chi la vuole uccidere e chi la aiuterà. Tanti duelli, semplice e consequenziale nello svolgersi, non c'è nemmeno un vero e proprio "evento" o punto di svolta; il film sembra costruito con la forma di climax, con l'apice alla fine, senza interruzioni, si cresce piano piano in ritmo e intensità senza tergiversare su giustificazioni narrative o interiorità dei personaggi.

La diREzione qui crea l'emozione, crea la tensione, scrive la storia; mi ha estasiato ancor più che in comedrinkwithme (che è dato un po' come l'archetipo del Wuxia moderno, genere che Hu epurò dalla magia e dagli esoterismi a favore di un realismo mitico; dove gli eroi, che tuttavia mantengono delle qualità straordinarie, sono calati in un contesto tutto sommato credibile).
E' come se ci fosse un Hu's touch ad alimentare e sostenere la suspance quando non si combatte, quando apparentemente non sta succedendo nulla (come si è già fatto notare è grazie anche ad un abile lavoro di King su Leone), ed è la stessa mano invisibile che porta la tensione al massimo livello prima di uno scontro: grazie a lente carrellate e campi medi sui duellanti, qua e là un primo piano o un quadro più enfatico, gli stacchi allo scontrarsi delle spade; messa in scena potentissima e precisa, che sta sempre in bilico fra la funzione coreografica e quella drammatizzante; il resto dell'emozione la filma Hu, gli attori fanno poi (quasi tutti) la loro ottima figura, le musiche da Opera cinese sono forse un po' ridondanti, ma non disturbano. Disturbano invece gli effetti sonori didascalici, datatissimi, irritanti, inascoltabili...e per di più ripetuti a nastro nei combattimenti, ma si va a ricercare il pelo nell'uovo.

Il Hu (fra gli altri due che ho visto) che mi è piaciuto di più, ora sono convinto che sia davvero un King.

giovedì, marzo 10, 2005
Snake in the Eagle's shadow - Woo-ping Yuen - 1978 


Jackie Chan fa da sguattero in una scuola di Kung Fu, un giorno si prende cura di Siu Tien Yuen (il drunken master), il quale gli insegnerà la tecnica del serpente. Ancora una volta il fellone sarà il crudele Jang Lee Hwang, che con il suo stile dell'aquila metterà in ginocchio il maestro, ma Jackie (dopo aver visto un micio prendere ad artigliate un cobra) mischiando lo stile degli artigli di gatto e quello del serpente riesce a dimostrare la superiorità della sua scuola.

Lo stile di Woo-ping Yuen mi gusta assai, qui alla sua prima prova come regista [è stato dietro ai combattimenti di Matrix, Kill Bill e Kung Fu Hustle tanto per farsi un idea del peso del suo nome] è asciutto e veloce, si permette di sottolineare qualche trick e si concede qualche occhiata grottesca, ma per il resto lascia alle arti marziali tutta la visibilità necessaria; ampio spazio al training dell'eroe, combattimenti a ritrecine.
La Comicità raramente si abbandona allo slapstick; grazie alle straordinarie competenze in campo coreografico e artimarzialesco si garantisce una fonte inesauribile di spunti comici (che vanno a volte assumono una vera e propria funzione di skit fra un blocco narrativo e l'altro; sono tutti estremamente datati, ma la performanza è ai livelli massimi e lo sbigottimento assicurato(a esempio vorrei citare la scena di quando il maestro invita Chan a sottrargli la ciotola; per chi avesse avuto il piacere di vederla).

Da notare l'azzeccata collocazione dei combattimenti in campagna e la ricerca delle location, ottima la messa in scena, che seppure pecca di un pittoricismo un po' ingenuo è sempre straordinariamente al servizio dell'arte(marziale). Dignitoso pure l'intreccio.
Una tappa necessaria (per regista e attore) per arrivare a Drunken Master (che è di poco successivo), che sebbene sia notevolmente più cialtrone di questo, trovava un perfetto equilibrio fra le varie macchiette; facendo del maestro mendicante un maestro ubriacone (mitizzandolo) e del povero orfanello sfigato ma buono, il bravoragazzo un po' casinista ma responsabile; che, sebbene non conosca molto il Chan degli anni 80, mi sembra sia il ruolo al quale è rimasto legato.

martedì, marzo 08, 2005
Stray Dogs - Mamoru Oshii - 1991 

stray dogs
Si riprende la storia tre anni dopo che si era lasciata in red spectacles (e anche le tematiche), andando a completare il plot dell'altro film e venendo a porre nuovi interrogativi.
Un giovane superpoliziotto con precedenti di insubordinazione viene mandato alla ricerca del protagonista del primo film. Una volta trovato, dopo che ci è andato ad abitare insieme, quando deve svolgere il proprio compito, fallisce, uccide il suo obbiettivo e ne prende la forma. Poi si mette l'armatura da Jin Roh e fa un macello.

Questa volta si rinuncia al taglio espressionista(della fotografia ma anche della direzione), manca anche (quasi sempre) il senso di oppressione che solitamente si respira, e la mano di Oshii la si vede (oltre che nei Jinroh e nelle varie e più o meno celate allegorie) nel ripetuto utilizzo di soggettive (ipotetiche) tese a rendere l'alienazione data dalla società dei consumi e dal riflusso dei movimenti.
Ma non pensiate di trovare la metropoli, nè reti informatiche o cyborg filosofi; Tanta campagna, strade di paese, mare, campi lungi e mdp ferma.
La ricerca (impossibile per chi ha combattuto) di una "casa" di una famiglia...ma poi bisogna fare i conti con il Potere....e se hai una corazza da Jin Roh ti puoi anche permettere di trivellare i tuoi nemici negli ultimi venti minuti del film, che del resto [dove Oshii dirige da Oshii e non cerca di fare Antonioni] sono la parte migliore della pellicola. Il resto è veramente ma veramente noioso.
Ritornano anche degli skatch (si scriverà cosi?) comici che in questo contesto lasciano veramente basiti.

Bisogna elogiare ancora una volta il lavoro di kenji kawai che (qui come nell'altro film), va più volte a parare il culo a Oshii, con musiche che pochissimo hanno a che vedere con i cori di cyborg, ma vanno a pescare qua e là fra i vari generi.

lunedì, marzo 07, 2005
Red Spectacles - Mamoru Oshii - 1987 

immagine
Oshii, qui alla sua prima esperienza Live, decostruisce (alla maniera degli europei) un Noir, mettendoci dentro pure dello slapstick, comicità manga demenziale, intrighi fanta(scienz)politici come Patlabor, i poliziotti-nazistoidi-armaturizzati di Jin-Roh, la lotta (tragica) contro(il)potere che fa da sfondo a molti dei suoi lavori e una narrazione che procede a scatti e per incastri (che non portano a nulla) tra i vari piani di realtà/sogno/rappresentazione/svelamento del trucco (il set in campo che viene distrutto dal protagonista nella ricerca di una via di fuga).

Un Ex superpoliziotto di una squadra speciale fascistoide armaturizzata, scappato insieme ai suoi tre compagni per via della corruzione del suo corpo militare, torna dopo vari anni in città per vedere come si è sviluppata la situazione, e per incontrare una donna, una sua compagna di fuga.
Arrivati in città ci si perde fra sogno e realtà, immaginazione, indagini, tempi lunghi, camera fissa e distante dai personaggi; bianco e nero nostalgico, come del resto il rapporto che lega l'eroe alla donna, la folle caccia fra i piani di realtà di cui il protagonista è la preda (e un bizzarro militare è cacciatore) ecc ecc... sono tutti luoghi forti del noir classico, che Oshii sbrindella (dilatandoli nel tempo, svuotandoli di contenuto, svelandone l'artificiosità, complicando al limite del comprensibile l'intreccio/storia) e li mescola/infetta spesso con sequenze da manga-filmato dagli intenti (non è cosi nei fatti) deliranti.

Il film funziona quando si prende/perde nei tempi lunghi, quando indugia sulle scene morte, quando sul serio si mette a scassare la sintassi, in questo senso funzionano anche tutte le sequenze metacinema, le inquadrature di tipo manga e l'antistoria che viene raccontata.
Non mi ha convinto per niente invece la demenzializzazione a singhiozzi; forse Oshii era spaventato di appesantire troppo il film, ma questi skatch risultano essere davvero fuoriluogo e devianti (nel senso che non portano a nulla).

Allegorico come sempre, qui il didascalismo si fa leggermente da parte, dato che la fotografia espressionista e dei set poveri (veramente da due braccia e una lira) ma estremamente significanti svolgono egregiamente il loro sporco dovere.

Non capisco poi perchè Oshii ce l'abbia tanto contro i gatti :/

c'è un sequel

sabato, marzo 05, 2005
Le avventure acquatiche di Steve Zissou - Wes Anderson - 2004 

top
Una bizzarro strampalato e metalinguistico team capeggiato da Steve Zissou si mette alla caccia di un improbabile squalo-giaguaro (se nn ricordo male) che aveva ucciso un grande amico del capitano.
Zissou dovrà anche confrontarsi con un forsefiglio, della cui legittimità non verrà mai a sapere la fondatezza, ma che lo costringerà ad affrontare le proprie responsabilità; come uomo, come padre, come documentarista da battaja.

Le varie parti sono attaccate con lo sputo, ma il tutto sorprendentemente tiene, un po' per il costante riferimento al farsi di un film, un po' per la leggerezza con la quale si vengono a trattare tutti i temi, un po' per quelle spruzzate di surreale date dagli animali colorati all'acido; ma soprattutto si deve ringraziare della buona riuscita della pellicola la grande qualità delle numerose battute e gag; anche se, personalmente, le cose che mi hanno fatto più ridere sono state le parodie dei vari film/generi (delle volte sottili delle volte più grossolane come quella dell'orca freewillie) e il farsi del documentario che Zissou sta preparando nella sua spedizione (ero l'unico che sghignazzava come un matto disturbando il resto del pubblico quando Zissou fa il bagno nei ghiacci con il suo equipaggio; sente un lamento; va a salvare pateticamente una povera donnola dei ghiacci rimasta incastrata e i suoi piccolini).

Zissou è un personaggio davvero carismatico, anche se incarna il riflusso (per vivere una vita felice deve accettare tutto quello che si suppone...e lui ce lo afferma una volta...abbia rinnegato per il resto della sua vita) non posso non farmi conquistare da un sognatore incallito e disilluso che fuma una canna dietro l'altra (anche davanti alle nostre forze dell'ordine!) aspettando di trovare la propria balena bianca.
Un grande bill murray, che di solito (eccezion fatta per i ghost buster) non mi sta nemmeno tanto simpatico, ma qui da prova di grande talento, riuscendo con le stesse espressioni, mantenendo lo stesso grado di recitazione, a farsi carico del comico, del parodico, del commento buffo, del quasidrammatico.

Avrei magari preferito veder sviluppato maggiormente il rapporto/conflitto Zissou-Squalo e Zissou-figlioipotetico, ma giustamente c'era il rischio di zavorrare la nave al limite del carico e una scrittura troppo solida non avrebbe permesso l'elasticità (ma forse è meglio dire la spugnosità) della pellicola.
Una bella serata.

venerdì, marzo 04, 2005
Neon Genesis Evangelion - Hideaki Anno 

immagine Evangelion
finito di vedere adesso.


My Neighbor Totoro - Hayao Miyazaki - 1988 


Anni '50. Le due piccole protagoniste e il di loro padre (la mamma è in ospedale) si trasferiscono in una cittadina di campagna nei dintorni di Tokyo.
Qui le due bambine incontrano Totoro, un pacioccosissimo incrocio fra un gattone e un criceto ingrassato, che le aiuterà a superare le difficoltà nelle quali si trovano, soprattutto la difficile situazione familiare, per la malattia e la separazione della madre.

La fantasia come fonte inesauribile di evasione e tampone dei problemi reali.
Non sono un fan di Miyazaki, non ho visto neanche molto, ma questo film mi ha irrimediabilmente conquistato.
Miyazaki è un maestro, non si può non riconoscerne la grandezza dei disegni (gli unici paccioccosi che mi garbano sono disegnati da lui), la cura per la caratterizzazione dei personaggi, la capacità di legare senza stonature la dimensione reale e la dimensione fantastica; non come due mondi in contatto ma separati (come due facce di una stessa medaglia), qui il mondo altro lo si può incontrare girando l'angolo, entrando fra i cespugli, aspettando l'autobus; è un mondo che ci accompagna costantemente, sulla tacita convinzione che gli adulti sono troppo indaffarati nel loro mondo per vedere con gli occhi della fantasia.

Delizioso, divertente, pacificatore. Non è la mia roba è vero, non ci sono robot nè intelligenze artificiali che prendono coscienza di sè; ma sono rimasto davvero estasiato per tutto il tempo della visione, nella prima parte dove si attende e si attende, fino a quando, finalmente vediamo la piccolina cadere sopra il pancione peloso di Totoro (dai diciamolo...voglio un vicino dal nome Totoro anche io :// ) e la pellicola fa una sterzata fantastica.
Altro (personaggio?) che non psso fare a meno di citare è il gattobus, un micione tigrato e dalle molteplici zampe che pare essere il mezzo (di locomozione) di totoro; veramente adorabile!.
Quando Totoro fa crescere gli alberi, quando T aspetta il gattobus, quando la piccolina insegue Totoro e gli cade addosso le sequenze più forti sia per quanto riguarda la visione sia per quanto riguarda il pathos (va da se che mi sarò scordato qualcosa).

Ringrazio OhDaesu per la dritta e spero di aver (ancora una volta) fatto invidia a Kekkoz.

mercoledì, marzo 02, 2005
Izo - Takashi Miike - 2004 


Che cosa è Izo?
Izo uccide, Izo uccide, Izo uccide. Izo uccide. Izo uccide.Izo uccide. Izo uccide.

Izo aspira alla perfezione uccidendo....e ammazza tutti.... perchè è la personificazione del male.... è la guerra.....è l'odio....Izo è portatore di morte.... Izo non può morire.... Izo non può vivere....e Izo ammazza tutti.
Noi guardiamo Izo che si materializza nell'oggi e nel passato e poi ancora nel presente e poi ancora indietro....e uccide, uccide, uccide, uccide, uccide; non ci è dato di sapere perchè, non c'è storia, è un circolo infinito di morte. Izo (il film e il personaggio) è irrazionale, come lo è tutto ciò che Izo rappresenta (ancora nel senso doppio).

Izo mi sembra essere La Storia(dell'umanità), che viene anche diegetizzata inserendo filmati d'epoca fra un salto di era ed un'altro (le battaglie della WWII, i dittatori, l'avanzata della società dei consumi..ecc ecc).
Ed essendo l'umanità(e la sua storia) violenta e irrazionale; un film che aspirava a rappresentare la violenza e l'irrazionalità della razza umana (la quale ricerca attraverso la violenza e l'irrazionalità la perfezione e la condizione divina) non poteva che essere violento e irrazionale.

E Miike questa volta dosa la truculenza che tanto ci delizia, distillandola in una serie infinita di esecuzioni, che sono apparentemente senza consequenzialità, apparentemente senza causalità (è come un Ichi perennemente a lavoro) e che proiettano (o sarebbero intenzionate a farlo) su chi guarda (almeno così la vedo io) un sentimento di repulsione verso la guerra e verso i poteri forti (Izo nella sua vendetta/ricerca sembra preferire yakuza, samurai, militari...).

Izo (il film) è un bagno di sangue purificante, catarsi pura per il nostro animo corrotto e dannato; per godere del film/per liberarsi dalla violenza e dall'odio bisogna lasciarsi scorrere addosso il sangue.
E' come dopo aver fraggato per ore ad una lunghissima sessione di Quake; l'aggressività scende al minimo (del resto anche le arti marziali tendono a quello...non c'entra un cazzo lo so...guardo troppi kung fu ultimamente ^_^).

Si ricerca quindi in uno stato di shock la pace e l'armonia con il resto dell'umanità, la fratellanza. Lo stato di coscenza alterato è dovuto alla condizione nella quale ci siamo trovati durante la visione; che è poi la condizione di Alex in arancia meccanica mentre viene sottoposto al trattamento speciale (Miike vuole sperimentare quel metodo di recupero con il suo spettatore?) ....ma la ricerca di tutte quelle belle cose (in quanto siamo umani) non può che passare attraverso l'irrazionalità e la violenza.
L'utopia è una masturbazione masochista.
Miike ce lo ricorda.
Izo ammazza tutti.


Ne avevo sentito parlare dal giovanecinefilo e da fedemcdeisecondavisione, ne ho letto ieri sul grandeinverno, e devo dire che è tutto quello che mi aspettavo da questo film, mi aspettavo un grandissimo film, ed è un grandissimo film; mi aspettavo un lavoro estremo e allo stesso tempo elegante, e così è; una struttura lineare senza una struttura, Sperimentale nella narrazione ma ordinario nella messa in scena dei singoli frammenti narrativi. Nonostante tutto questo; ancora una volta, come ogni volta, Miike non smette di sconvolgermi, stupirmi, esaltarmi. E' una sorpresa ad ogni film....ed è anche il mio primo pezzo su Miike; non so perchè ma mi sono trattenuto dallo scriverci sopra, forse perchè delle sue hit ne avevano già parlato in molti, o forse più semplicemente perchè aspettavo il Miike giusto.... un cult.


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