
Sto male.
Perchè (come mi aveva anticipato Kekkoz), questo è un film che non concede nessun tipo di conforto: l'ironia Parkiana è rara, fugace e più amara del solito...per poi re-immergersi nella disperazione più totale.
I vari personaggi, schiacciati da patemi a carattere melodrammatico, cercano e ottengono la vendetta, generando altri conflitti; che porteranno a loro volta altro dolore e altro sangue.
Quello che sembra rendere la visione così toccante è la scelta di mantenersi distanti da qualsiasi tipo di sentimentalismo nei confronti dei vari protagonisti e delle loro vicende.
Non c'è spazio alcuno per la compassione, sono tutti sia aguzzini che vittime (tranne lo storpio, che sembra essere l'unico in grado di provare pietà) e allo spettatore viene affidato il fardello della sofferenza che emana ogni sequenza.
Questo grazie ad una regia che predilige la staticità, i campi lunghi, i long take e la plongée; un montaggio che unisce e intreccia le tragedie private in un supplizio collettivo; l'uso della musica e dei suoni (dai rumori di fabbrica alle ossa segate fino al free jazz) per rendere totale l'alienazione e vana la speranza in questa valle di lacrime; che osserviamo con lo sguardo di Dio, ma non potendo noi giudicare, siamo costretti ad accollarci il peso di ogni dramma e condividerlo a livello viscerale.
Viscerale come il dolore delle coltellate, lacerazioni della carne, cicatrici che spingono alla folle spirale della vendetta ....per questo il film si spinge molto a largo, andando a toccare temi scottanti come le contraddizioni del capitalismo, la lacerazione Coreana, la crisi economica, la completa sfiducia nell'utopia.
Difficile dare un giudizio distaccato quando si è talmente colpiti nel profondo (ho fatto anche una fatica bestiale a scrivere), non mi sono mai sentito tanto vicino a delle vicende così lontane dal mio privato.
Park sconvolge poi per la semplicità con cui passa dal personale al collettivo, dall'humor al melodramma, dall'amore all'odio, dal positivo al negativo; senza perdere un briciolo di credibilità e senza sacrificare la straordinaria compattezza delle sue opere.