
Prima però di parlarvi di questi due film vorrei in qualche modo farvi partecipi delle mie ferie al Chaos Communication Camp. Oltre 2000 hackers che si ritrovano in Germania ogni 4 anni non è cosa che si può spiegare in poche righe, ma per rendervi un po' l'idea di quello che è successo vi potete perdere nelle gallerie di flickr oppure dare un'occhiata alla homepage del meeting.
Ho montanto anche (per la prima volta sotto Linux) un video con del footage fatto da un amico.
Ma veniamo ai film: prima di partire mi sono visto Babel, di quel Alejandro González Iñárritu che tanto successo riscuote fra i n00b e con quel Gael García Bernal che tanto piace alle ragazze ma che purtroppo per lui non sa recitare (e la scena dove fa finta di fare l'ubriaco al volante è li a dimostrarlo). Già noi non avevamo amato (e ci stiamo andando per il sottile ve lo giuro) amores perros, ma qui si esagera.
La forma ad incastro potrebbe sembrare il capro su cui puntare la lama, ma ad una visione attenta ci si accorge che quello è semplicemente un espediente per fare un film, i problemi sono altri, e più profondi. Si pensi che in amores perros quella forma aveva un minimo di senso, seppur affogata da una regia modaiola e cool, pur potendo non piacere, si poteva (a fatica) riconoscere un certo quid.
Qui invece (in Babel) gli incastri ci sono solo per reggere insieme 4-5 storie (ora nn ricordo) una più ridicola e banale dell'altra, con trucchetti di sceneggiatura da far ridere anche uno sceneggiatore di un posto al sole (con tutto il rispetto per gli sceneggiatori di un posto al sole beneintesi) e la regia perde pure quell'appeal modaiolo appiattendosi su blandi canoni hollywoodiani.
L'unica cosa che mi è piaciuta è la battuta (cito a memoria) "il messico è un posto molto pericoloso, è pieno di messicani!" e forse la storia ambientata in Marocco, ma sicuramente solo fino a quando i due pischelli colpiscono la gringa.
Quello che veramente è fastidioso è che tutto sembra succedere perchè il film deve procedere, succede qualcosa in vista del dramma che verrà (ma sarebbe meglio dire NON verrà), inoltre tutto quello che succede ha il sapore (e il valore) delle voci registrate quando chiami i numeri di assistenza: non ti dice un cazzo di niente e vorresti distruggere l'aggeggio che la riproduce.
Finalmente qualcuno da odiare a ragione, attendo impaziente il prossimo film di Iñarrutto.
L'altro film di cui volevo parlare è di un'altra illustrissima antipatia di celluloide, il danese Lars "sono bravo solo io e sono Von" Trier.
Ma questa volta devo ammettere che il boria ci ha preso in pieno, e mi ha fatto (questo non lo credevo proprio possibile) pure divertire.
Il film di cui vi sto parlando in questo momento è il suo ultimo: il grande capo. Devo dire che avevo pensato un monte di cose da scrivere su questo film, ma adesso che sto pigiando i tasti sulla tastiera non mi sovviene nulla di succoso da pigiare.
Sarà che sui computer di scena erano tutti marchiati Sun Microsystems, sarà che la regia tutta tagliuzzi e frenetismo era il perfetto coadiuvante di una narrazione che voleva (e ci riesce) essere antinaturalista pur nella sua semplicità e nel suo gioco che appare divertito e leggero, ma che in realtà nasconde tutto il dramma di un regista in depressione (LVT) alle prese con la materia drammatica che non si può più gestire (perchè la catastrofe è già avvenuta e Gambini lo aveva capito tanto tempo fa, è stato infatti uno dei primi a smascherare Ibsen), che si ribella (assieme agli attori) al tiranno buono che la plasma.
Se non fosse che l'ego smisurato di LVT e la sua convinzione di essere un teorico rivoluzionario quanto Eisenstein e un drammaturgo più biomeccanico di Mejerchol'd venissero un po' a rovinarci la festa avremmo davvero prostrato il capo, ma probabilmente è lo stesso LVT a non volerlo, e forse è lo stesso LVT a disprezzare i suoi estimatori e a venirci in contro fornendoci sempre un appiglio per l'indignazione critica, un bersaglio contro cui puntare il nostro facile dito, sempre uno scalino dal quale guardare in modo critico e intransigente le falsità che ci si parano davanti (devo tirare fuori il nome di Brecht?), il pacco è che in troppi non riescono a salire sullo scalino che LVT prova sempre a costruire, forse perchè nemmeno lui ha mai provato a salirci.
La catastrofe è già avvenuta.