Un poliziotto corrotto (un poliziotto, cit.) interpretato da un tenebroso e cattivo Tony Leung che fa un po' da mezzano alle varie cosche di Macao incastra un rasato e misterioso Lau Ching Wan, che in realtà e stato assoldato da un boss proprio per togliere di mezzo il poliziotto violento e rompiballe.
Buon ritmo e interpreti grandiosi (e non solo i protagonisti, tutto il cast merita lodi), che sono capaci a esprimere tutto il fatalismo e l'incertezza della condizione umana, ma anche delle ex colonie a ridosso del passaggio di consegne dei poteri, in una cornice che è quella dei rapporti di business e potere (per l'appunto) dove ci si muove dietro interesse e secondo la premeditazione, dove anche il più manzo e terribile dei personaggi si ritrova incastrato come un pisquano qualsiasi da gente più tosta di lui.
Ed è quindi dopo; dopo tutta la violenza (anche se sarebbe più corretto parlare di torture) a cui abbiamo assistito, dopo tutta la cattiveria che è stata protratta, ci rimane solo il duello, fra chi è stato beffato e chi deve portare a compimento un lavoro. Il primo trova nella vendetta non tanto una via di fuga, quanto una condizione d'esistenza (esemplare quando in barba ad ogni logica interrogatoria si uccide, in modo impulsivo ma calcolato, il proprio ostaggio prima che ci riveli una qualche informazione fruttuosa), il secondo non sappiamo perchè debba alla sua missione così tanto, ma il capello rasato di Tony Leung nel finale (che è lo stesso di Lau Ching Wan per tutto il film) ci suggerisce che anche per lui eliminare il suo obbiettivo è di primaria (inteso come bisogno primario) importanza.
Si arriva così al pre-finale con una sparatoria eroica (un eroismo alla Patrick Silvestre, questa la capite solo se avete visto GITS: S.A.C. 2nd gig, per rendere le cose più chiare diciamo un eroismo alla AHND, questa speriamo la capiscano in un po' di più) che sebbene girato un po' all'americana (bang, controcampo, esplosione, controbang, controcampo, controesplosione) riesce (probabilmente grazie ai ralenti leggeri e ad una fotografia molto espressionista) ad arrivare ad un livello semantico superiore e, nella gioia di vedere mille cose che vanno in frantumi e mille colpi di fucile esplosi, accedere a quell'eroismo citato in precedenza.
Rimane poi impressa nella memoria il faccione rubicondo (è davvero tondo) di Lau Ching Wan che spara con una desert eagle dal finestrino della sua macchina in corsa, con un espressione neutra e distaccata in faccia, ma allo stesso tempo presa e compiaciuta, l'espressione di colui che ha visto e conosce la morte, e che la sta assaporando.
Malgrado tutto questo, è un film che non ci ha soddisfatto pienamente, è forse troppo denso e permeato di significato, è oppresso dal suo stesso sottotesto, è per dirla con parole più sagge delle mie, un film paranoico, un film che non riesce a liberarsi e diventare davvero eroico sopra ogni interpretazione.