Un ragazzo che vive ai margini, rubacchia e rivende, ha una ragazza che gli ha appena dato un figlio (ma non è certo lui l'enfant del titolo) a cui sembra essere totalmente indifferente, infatti lo vende.... mentre la sua vita precipita e lui sembra continuare indifferente la sua condotta amorale si accorge a poco a poco che esistono dei valori, che c'è una ragazza che lo ama, che è padre, e il film apre così ad una possibilità di redenzione nel finale.
Pur non amando molto il loro tipo di drammatizzazione e di narrazione questo film è riuscito a piacermi.
Il loro modo di raccontare predilige una storia che sebbene sia fondata sul percorso psicologico del personaggio non marca e non enuncia i punti dove il cambiamento avviene, ma lo presentano come un'azione-risultato della somma di tutti i gesti e i fatti che abbiamo visto nel corso del film (non a caso il personaggio ha la conversione nell'ultima scena del film). In più fanno un uso neutro e reiterato del piano sequenza, con un rigoroso mantenimento di tutta la durata dello svolgimento di un'azione, con un assoluto rifiuto delle arbitrarietà dei tagli di montaggio: se devono creare tensione o suspance (come nelle due superlative sequenze della vendita del neonato e della sua restituzione) preferiscono caricare il fuoricampo e i rumori (scriverei colonna sonora, ma visto che non c'è nemmeno una nota di musica voglio evitare qualsiasi malinteso) di mistero e aspettative, rendendo lo spettatore partecipe delle inquietudini del protagonista.
Siamo quindi di fronte ad un cinema che punta molto in alto, che non si illude certo di ricostruire la realtà, ma che cerca di sicuro un contatto quanto più intimo possibile con essa: il problema a mio umile avviso è che spogliando e riducendo a tal punto la drammatizzazione, e non avendo niente di nuovo o peculiare dal punto di vista visivo/stilistico dopo un po' la visione ha iniziato a perdere di mordente su di me.
In sala erano presenti i Dardenne stessi, che nonostante fossero visibilmente provati dal loro tour promozionale nel bel paese si sono dimostrati due tipi allegri e simpatici (a dispetto di quanto mi aspettassi), ma attenti a non dirgli che assomigliano a qualche altro regista e sopratutto non nominategli la nouvelle vague: per loro come per Pasolini la NV è troppo cittadina, troppo cerebrale, loro sono per un cinema emozionale che ponga lo spettatore vicino al personaggio, dal quale apprendere una storia di vita.
Davvero impressionante il lavoro con gli attori, ogni gesto (anche quello più insignificante) risulta essere naturale e spontaneo, ma non è tanto di questo che ci si stupisce se senti dire ai Dardenne che hanno lavorato circa sei mesi solo con gli attori a fargli raccogliere sassi, a infilarsi giacchetti ad aprire porte.
in sala oltre ai Dardenne (e un mucchio di altra gente in piedi perchè le poltrone erano gremite) il noto cineblogger thecritic
Dardenne : palma d'oro : pianosequenza : emarginazione