Manca la forza dei precedenti lavori del cineasta coreano, ma quasi del tutto la condizione straziante e lo sguardo da cerusico che tanto ci aveva commosso e colpito negli 11 film precedenti, anche in quelli più gassosi, ma non privi di corpo.
In questo lungometraggio invece di corpo ce n'è uno solo, un corpo giovane e conturbante, con pelle candida e caviglie grosse, due occhioni maliziosi e un sorriso che ti farebbe andare ululando in ginocchio di qui alla corea, ruota tutto intorno al corpo di Yeo-reum Han e anche la mia attenzione si è concentrata più sulle sue labbra rispetto alla storia narrata, a cui si nega la possibilità di provocare e risulta incapace di coinvolgere/emozionare.
C'è chi proprio non ha digerito i simboli e le metafore, a me non hanno disturbato, da come ne avevo letto pensavo ad una figurazione ancora più smaccata, ad un'atmosfera molto più rarefatta, ho visto invece un film dagli orizzonti chiusi, dove manca un finale degno di una storia che non arriva, dove si punta (fallendo) a delle verità esistenziali sviuluppando dei canovacci intimisti rivisitati; perchè ci dispiace dirlo, ma il matrimonio colorato con le galline e i datteri puzza davvero troppo "esotico" (per quanto scambierei la mia esistenza con quella del dattero da lei mangiato... e poi in quel modo!! che poi si, anche lei come mangia il dattero, molto stimolante, ma dai eh!).
Detto questo non me la sento di massacrarlo, Kim rimane ottimo direttore d'attori e riesce sempre nella messa in scena una rappresentazione liminare (l'orizzonte, l'acqua, la pubertà) e poi non mi sono mai annoiato, ma forse per altri motivi.