giovedì, ottobre 27, 2005
Parlare di uno stile realista può sembrare strano, giacchè è fin da subito ovvio che la struttura è metalinguistica, di impatto politico il contenuto...ma la forma e il linguaggio, estremi e manieristi nel loro ridursi a tecniche base (possiamo ridurre alla veduta unipuntuale e allo scorrimento del supporto), mettono di fronte a noi, attraverso una mediazione videotelevisva (l'unica depositaria del Vero presso il nostro tempo), delle azioni e relazioni senza drammatizzare attraverso l'uso della mdp, il che non vuol dire che siamo di fronte ad un approccio realista, ma:
Haneke mette subito in chiaro che le immagini del film potrebbero essere quelle delle videocassette, che quindi quelle immagini sono state manipolate, sono state trasferite su un dato supporto, e che sono a loro volta manipolabili(attraverso il ff e il rewind). L'infrangersi delle varie soglie dell'universo diegetico e la confusione che ne consegue per lo spettatore, costretto a indagare la provenienza delle immagini, se veritiere o fasulle, se intra o extra diegetiche, ma sopratutto obbligato costantemente a domandarsi a chi appartiene lo sguardo, se quello sguardo è poi "puro" o riprodotto, se è attribuibile a qualcuno oppure no....e sono proprio gli sguardi riprodotti quelli che più caratterizzano come problematico il resto del visibile: le immagini vengono percepite come reali in quanto
traccia, testimonianza di una manipolazione umana, passaggio necessario affinchè quelle immagini siano utilizzabili e trasmettibili (un video si può anche fare in automatico, più difficilie è che le immagini si riversino da sole su vhs): ecco perchè tanta tensione si sprigiona dal silenzio, dall'azzeramento del linguaggio del cinema. I drammi che vengono presentati, senza che se ne riesca ad arrivare al cuore, proprio nel loro abbozzo, nei numerosi punti oscuri, nella mediazione video, ritrovano grazie quest'ultima (e alla percezione di questa presso il pubblico) l'ambiguità e l'asciuttezza (spietata) del reale. A esempio quando Laurent va nella casa dell'Algerino ad haneke basta mostrarci la scena da un altro punto di vista per farci perdere completamente l'orizzonte e obbligarci a ri-valutare criticamente ciò che vediamo/abbiamo visto. Le immagini qui disturbano non perchè "forti", ma proprio per la loro natura incerta: senza normalizzazioni istituzionali, lo sguardo ci turba perchè si confonde con la realtà delle immagini videotelevisive, quelle che percepiamo come immediatamente reali, Haneke le utilizza per sfruttare la loro "forza realista" e al contempo per smascherarne l'arbitrarietà.
Credo in questo perchè Haneke decide di rendere le immagini vhs in qualità minore, ma lascinado la stessa fotografia che utilizza per la diegesi: non c'è soluzione di continuità fra realtà e riproduzione della stessa: interrogare e indagare le immagini come costantemente facciamo con la realtà, vagliare la situazione volta per volta, quadro per quadro, oggi che è il video a certificare la realtà, scoprirne la veridicità e la volontà che ci sta dietro è difficile, spesso impossibile, ma è un atto politico necessario.
Si è parlato poi del finale, con i due figli che vediamo (ma non sentiamo) parlarsi in mezzo ad un gruppo di studenti, l'interpretazione può essere molteplice: penso che sia l'affermazione che malgrado lo strapotere mediatico sia ancora il rapporto umano quello più forte e rivoluzionario.
martedì, ottobre 25, 2005
Un gruppo di ragazze moderne si avventura senza maschi su per vie impervie, entrano in un buco per dimostrare quanto ci stanno dentro, ma dentro c'è una
manica di Gollum che se le mangiano, loro un po' si ribellano, un po' si ammazzano fra loro, e muoiono.
Un buon horror, che fa paura su più fronti: costruendo la paura sia con spazi (e azioni) claustrofobici sia facendo scorrere il sangue, mostrando ossa che escono dalla carne, ferite... ma anche sfruttando la sospensione, la minaccia del vuoto...e ovviamente del buio (a mio avviso anche con una buona fotografia che anche se delle volte illumina immotivatamente si mantiene discreta e va anche a creare delle immagini suggestive sfruttando l'oscurità del quadro e gli sbreghi di luce portati dalle protagoniste).
Anche i "mostri" nonostante ricordino troppo Gollum (e le orecchie a punta se le potevano tranquillamente risparmiare) non cadono mai (troppo) nel ridicolo, sono violenti e senza pietà, e una volta che lo spettatore ci ha preso confidenza si evita di farli apparire all'improvviso sullo schermo, anche qui c'è una innegabile abilità nel saper gestire cliché del genere senza deteriorarli nel corso della pellicola. Il film si nutre di cliché e stereotipi, ma il regista è abile nello sfruttarli prima che perdano di forza, passando a lavorare su altro materiale spaventante.
Quando però il film arriva a chiusura e le ragazze diventano iperviolente e iperinsanguinate, il regista decide inspiegabilmente di inquadrarle in "pose" statiche/enfatiche da eroe d'azione, soluzione che mi ha fatto schifo, senza mezzi termini.
Segno dei tempi: ad oggi quello che spaventa di più lo spettatore non è tanto la distruzione di massa, la guerra o la fame (non sentono mai ne fame ne voglia di andare in bagno le nostre eroine) , ma la paura di tornare ad uno stato precivilizzato, dove lo scontro con creature simili, ma considerate inferiori, azzera umanità e razionalità (infatti nella seconda parte l'unico sentimento positivo è portato da la donna-gollum che si incazza perchè gli hanno ucciso il suo ipotetico compagno) e trasforma una exmamma davvero dolce e sensibile in una Carrie vendicativa. Non siamo molto lontani dell'isola dei famosi a mio avviso, vediamo qualcuno in difficoltà perchè senza tecnologia e "civiltà"..... poi vabbè, qua c'è un'infinità di sangue e quindi ci piace.
Davvero bello (a posteriori) il falsofinale, con la risalita dal mondo degli inferi su di una stuola di ossa ammonticate, l'ho trovato molto Dantesco, anche gratuitamente, ma l'ho apprezzato, proprio perchè si rivelerà falso.
Al cinema con il
giovanecinefilo
domenica, ottobre 23, 2005
ovvero sindrome da ogame.
mercoledì, ottobre 19, 2005
Un film retto sulla nonsense e sull'eccentricità. Siamo nel giappone degli shogun e una coppia gay va a fare un pellegrinaggio per risolvere i problemi di droga di uno dei due.
Da li iniziano un viaggio fra il surreale e il demente che attraversa un'infinità di sequenze più o meno autarchiche dove il racconto alla fine lo si narra, ma a strati e per rimandi. Ottima prima prova per Kankurô Kudô: senso dell'inquadratura e della composizione, le varie sequenze pur variegate per forma e ritmo si legano senza attrito fra loro e lo spaesamento che si prova a guardare il film non si perde la concentrazione nemmeno nella seconda parte; più complessa e ambiziosa, dove la demenzialità viene leggermente accostata per ritagliare un angolo di melodramma (anche ben costruito) e la "narrazione" si fa ancora più ardita arrivando a legare un uomo-fungo che sogna il suo amato morto e la sua moglie uccisa a il suo amato morto che consola la sua moglie uccisa sotto forma di bonzo gigantesco che piange per poter tornare in vita.
Poi ci sono i colori corretti in digitale, le sovrimpressioni, estetica da muto e altro ancora, ma quello che più ho apprezzato sono stati i nascosti (ma anche marcoscopici) giochi metatestuali; niente di nuovo, ma realizzati in modo davvero fresco e competente (come la scena del monte Fuji).
L'ho preferito ad altre giapponeserie del filone popnaif.
Grazie all'imprecedibile
hellbly per avermelo segnalato.
martedì, ottobre 18, 2005
Da oggi al posto degli ultimi film visti ho inserito il javascript di
scrive.it con le mie ultime 5 segnalazioni, quindi non è detto che siano necessariamente gli ultimi film visti, ma sicuramente permette un'aggiornamento più costante visto che segnalare su scrive è veloce, semplice e molto community... e sopratutto aggiorno murdamoviez senza dover tutte le volte mettere mano al codice.
Ecco un altro buon motivo per iniziare a usare (chi non lo avesse ancora fatto)
scrive.it
venerdì, ottobre 14, 2005
Jimmy yu wang è pressochè sconosciuto, anche quando si parla di kung fu è difficile sentirlo citare, e questo è male: perchè sotto più punti di vista è un punto di riferimento per il cinema di Hong Kong e tappa fondamentale di tutto il cinema d'arti marziali (non solo gongfupian quindi).
Questo suo primo film (era una star già negli anni 60 nei film di Chang Cheh, dal quale ha imparato il mestiere) è forse il primo film (fra i pochi che ancora ho visto nella corpus sterminato di questo genere) che si stacca da dialettiche wuxia (al quale anche Chang Cheh rimarrà legato nei sui kung fu) per mettere in primo piano l'attore (se stesso) e la performance. Ma oltre a questo, c'è anche una trama che mette da parte i rapporti marito/moglie per preoccuparsi solamente della vendetta, preoccupandosi qui solamente di vendicare il maestro ucciso e di scacciare gli odiati giapponesi e il loro karate sovrumano.
Quindi siamo di fronte ad un racconto che sarà poi ripreso e variato all'infinito (perciò si parla di classicità) nei 10/15 anni successivi.
Non siamo di fronte ad un grandissimo film, Yu Wang dimostra dei limiti sia in regia (lontano dalla potenza di Cheh e l'eleganza di Chia-liang) sia nei combattimenti e nelle coreografie, ma questo non gli impedisce di costruire sequenze impressionati e composizioni talentuose, si adottano soluzioni realistiche e wushu-centriche (come i combattimenti in longtake, i piani lunghi e medi) assieme ad altre fortemente illusorie (numerosi trucchi ottici e filmici) e a montaggio frammentato (anche se più frequente nelle scene non combattive) per arrivare alla sequenza dell'allenamento (anche qui siamo di fronte ad un topos che nasce con Wang) dove mentre si tuffano le mani nella sabbia rovente si inquadrano espressionisticamente e velocissimamente le statue degli Dei Cinesi: da qui si fa presto ad arrivare a Tsui Hark.
Se ancora non vi foste convinti dell'importanza di questo regista/attore si dovranno fare dei riferimenti importanti: tutti noi (spero) abbiamo amato Kung fu Hustle, e tutti noi abbiamo colto l'auto citazione di Stephen Chow quando fa scoppiare il pallone da calcio dei bimbi.
Pochi però (io l'ho scoperto adesso) sanno che quella è anche una citazione da QUESTO film, vediamo anche qui nei primi minuti di film il piede del cattivo stoppare la palla, si dirà che è forse poco evidente come citazione, ma bisogna prendere in considerazione che: Stephen Chow è un fan di kung fu movies, il suo film li omaggia, nel suo film ci sono un sacco di cattivi vestiti di nero e con le accette, e anche in QUESTO film i cattivi sono rappresentati in quella maniera:
quindi già due anni prima di
the Boxer from shantung (anche se con esiti inferiori) troviamo un personaggio solitario che combatte contro mille vestiti di nero.
Un allievo di Cheh che guarda a Leone (meraviglioso il duello western con le mani al posto delle pistole) e a kurosawa, senza la grandezza dei maestri, ma capace di inventare, innovare e istituzionalizzare, e questo anche prima del successo mondiale dei film con/di Bruce Lee.
Jimmy Yu Wang non è un minore, non è una curiosità dentro un panorama; è di importanza centrale, una fonte di ispirazione, un archetipo per il genere e un idolo per chi scrive. E' tempo che egli venga ricoperto di lodi e di fama, che l'importanza e la grandezza gli venga riconosciuta, che il suo lavoro venga apprezzato.
mercoledì, ottobre 12, 2005
Time and Tide è un gran film d'azione, parte maluccio, un po' troppo ricamato l'intreccio, si sviluppa il racconto su più linee...ma tanto a noi non ce ne frega un cazzo.
Inseguimenti in macchina, in spazi claustrofobici, metropolitane, concerti, scale mobili, sparatorie, gente che si picchia con violenza, un film superspeed.
Quanto di più autocompiaciuto (e di cattivo gusto) la CG ha permesso negli ultimi anni è esibito (quasi con cipiglio sperimentale) ben oltre la soglia della gratuità: entriamo dentro le pistole che stanno sparando, siamo in bullet time all'interno di un appartamento che esplode, il fuoco fatto con immagini sintetiche (che è una delle cose più brutte che si possono vedere) e movimenti di macchina impossibili iperaccelerati.
Ma oltre all'aspetto avanguardistico (in realtà già a pochi anni di distanza sembra un prodotto fin troppo modaiolo) c'è anche il lato oldstyle dell'
action: ottime coreografie, grande coordinazione e preparazione atletica e tecnica per maestranze, attori e stunt; indubbio talento di Hark, una gran quantità di armi, suspance e sparatorie per le scale, cecchini che si appostano, gente che si spara a bruciapelo, gente che partorisce in una sparatoria.... un tocco di comicità e pochissimo relax.
Anche To deve qualcosa a questo film.
Grande intrattenimento... e poi anche la storia non è male ;)
A Kevin Smith si possono perdonare molte cose, ma non penso che sia la persona giusta per trattare i temi di questa pellicola.
Il dogmatismo è il bersaglio del film: Gesù era nero, la madonna non ha mantenuto la verginità, Dio è femmina ecc ecc, ma aldilà di queste quisquiglie non si va oltre un generico Dio è buono e per tutti e la chiesa (qualunque essa sia) è una messa in scena umana.
Meno divertente e meno sballone degli altri film con Jay and Silent Bob (ci si ferma ad un paragone verbale con SW e a qualche battuta fiacca sulle canne) è (tra quelli che ho visto) il più ambizioso e complesso, dove la commedia verbale stupida a sfondo sociale viene accantonata in favore di un dramma teologico (????!) a fine moraleggiante, le prospettive alte (sempre su registro basso) aiutano nella costruzione di un film sicuramente più pregiato dal punto di vista di sceneggiatura e di tecnica, ma purtroppo non si riesce mai a ingranare veramente un buon ritmo e Jay e Silent Bob non riescono ad amalgamarsi al resto dei più o meno bizzari angeli/demoni/altro, che sono tutti (chi più chi meno) ben caratterizzati e divertenti, ma accanto ai quali la comicità di bassa lega (è per questo che ci piace) dei due pusher del New Jersey rimane ingabbiata.
Rimane più piacevole e più organico da vedersi delle altre cose che ho visto, ma dopo lascia poco, un paio di discorsi già sentiti sulla religione e qualche battuta/situazione divertente: come la statua di Cristo che fa ok e che ammicca e Jay che si vuole sbattere la protagonsita mentre sta succedendo il finimondo.
Sopreso dai due angeli ribelli Affleck-Damon, davvero convincenti, le mie preferenze vanno al primo.
Mi sento come Han Solo, tu sei Chewbacca e lei è Obi Wan Kenobi e siamo in quel fetido e orrendo bar
giovedì, ottobre 06, 2005
Ero andato al cinema con delle aspettative, perchè il potenziale murda era molto alto in questo film: fine anni 70, criminali, caratteristi e un po' di intrami politici. Avevo anche molta paura, che risultasse un prodotto provinciale e pretenzioso.
Il film invece, malgrado tutti i difetti che gli si possono imputare risulta essere (tenendo d'occhio anche la durata più che ragguardevole) piacevole e interessante.
Il primo piombo lo sparerei sull'eccessiva verbosità imposta da una trama che condensa e complica oltre il necessario le vicende e le relazioni fra i vari personaggi: siamo sullo sfondo di misteri e relazioni fra i criminali e "loschi figuri" rappresentanti dello Stato, dei loro rapporti non ne veniamo a sapere molto, giustamente questi rapporti non vengono approfonditi nel film (si sarebbe appesantito ulteriormente), ma sui quali si riversa la nostra attenzione, sminuendo la pur discreta sceneggiatura.
Poi passerei alle pretese di Placido di costruire immagini poetiche (vedasi..se ci si riesce...la conclusione) senza che sappia usare la mdp con personalità e fare uno scontro verbale che non sia un piatto urlarsi faccia a faccia, anche la recitazione degli attori (quelli belli) non riesce ad essere convincente quando c'è da incazzarsi.
Non chiedo che Placido mi faccia svolazzare colombi, mexican stand off o bullet time, ma che ci si discosti un tantino dal modello [
campo: un tipo spara
controcampo: l'altro tipo è morto]. Inoltre ci è parso che sul lungometraggio del film ci fosse molto più spazio per azioni di stampo criminale, sopratutto durante l'ascesa (il lento declino invece l'ho apprezzato), ma dopo la partenza brillante, serrata e delinquente le armi vengono messe da parte per essere riprese poi in un finale antieroico, quasi sottotono (se ci scordiamo delle ultime immagini) dove si uccide a sangue freddo e istantaneamente, qui il film fa centro.
La fotografia, seppur di discreta qualità (c'ha ancora una patina di Italianità che proprio non reggo) è troppo scura e espressionistica per potermi piacere, oltretutto visti gli aspri contrasti che si mettono in scena su più livelli l'ho trovata ridondante.
Ma malgrado tutto questo (e mi sono fermato perchè mi stanno continuando a venire in mente cattiverie da scrivere) il film mi è piaciuto, non troppo, ma nemmeno poco. Sarà che ci ho visto una possibilità per il cinema italiano di ritrovare una dimensione popolare (il cinema pieno mi ha esaltato) senza cadere nelle idozie paratelevisive o in fuffa rosaceleste, forse c'è ancora troppa "pesantezza" nel modo di avvicinarsi alla materia, sia dal punto di vista tecnico che per quanto concerne l'ambito narrativo/nazionale, ma in fin dei conti anche questa pesantezza aiuta a schiacciare i personaggi, non mi è piaciuta ma funziona...ecco, questo mi pare un film che funziona alla grande malgrado tutto, ed è già una gran bella riuscita.
Gli attori e i caratteristi (quelli non belli) sono poi di grande impatto, riescono benissimo a reggere la parte e mettono sullo schermo delle facce da italiani, da gente di cui non ti puoi fidare, visi da infami (Roberto "
er Patata" Brunetti e
Antonello Fassari a mio modesto avviso qui splendidi, entrambi).
Dai anche i "belli" non sono male...e per la prima volta ho apprezzato la faccia di Accorsi, sarà che invecchiando sta acquistando caratteri facciali più accentuati, l'espressione no, rimane quella.
Il primo film di Chia-Liang Liu è una parziale sorpresa. Non tanto per la qualità, è senza dubbio un buon film, non tra i migliori del genre, ma godibilissimo e con un paio di combattimenti davvero meritevol, quanto per l'inaspettata presenza (oltre ad un tocco di leggerissima commedia) di una sequenza
horror dove il regista si fa apprezzare per dei longtake che sviluppano una buona suspance e eleganti movimenti di macchina, certo, esigenze di sceneggiatura, perchè fino all'ultima mezz'ora si combatte pochino, con il protagonista intento a raggirare i cittadini con il suo spiritual kung fu (in pratica finge di essere un Dio e si fa pagare per i crimini commessi dai passanti nelle loro vite precedenti) e a corteggiare una bella ragazza inspiegabilmetne vestita da maschio.
Poi i cattivi scoprono che è un farlocco e lo vogliono massacrare.. ma arriva la polizia e lo arresta per la sua condotta truffaldina.
Ed è in quest'ultima parte che osserviamo come i combattimenti (per quanto splendidi, affollatissimi e violenti) non godano ancora di quella compattezza e fluidità che saranno presenti nei lavori successivi del regista, il quale spezza il meno possibile l'azione ed è ancora alla ricerca di un equilibrio visivo: in un'alternanza fra il close up e il totale che non sempre riesce a rendere l'azione completa, tonda e piena. Ancora non si è arrivati allo Yin e lo Yang.
Solo per fanatici.