mercoledì, dicembre 29, 2004
Tornato al mio paese per le vacanze natalizie, ho accompagnato un mio amico ad Empoli per comprare il regalo alla di lui ragazza. Siamo entrati in un minimarket indiano, perchè il mio amico aveva adocchiato un bracciale che faceva al caso suo, io invece ho rivolto le mie attenzioni alla dvdteca alle spalle dell'esercente...
Sono sempre stato attirato dalla cinematografia Indiana, ma, causa la difficoltà dell'accesso, non mi ero mai posto di fronte ad un film made in Bollywood.
Ho quindi colto l'occasione al volo e mi sono fatto consigliare un must see delle loro parti... Il simpatico negoziante a tentato di indirizzarmi verso prodotti uscti recentemente, ma il mio occhio era già caduto su una scatola raffigurante tre locandine che trasudavano di classico. Chiedendo informazioni su quel dvd, tutti gli avventori del negozio hanno cominciato a cantarmi le lodi dei film contenuti nel dvd, girati alla fine dei 70 e ancora attualissimi...sembrava che tutti quelli nel negozio avessero visto e apprezzato quei film, oltretutto 3 film di tre ore su un dvd...otto euri, la mia scelta era è stata scontata...
Shaan narra la vendetta di due simpatici truffatori, i quali uccideranno il
badguy di turno che aveva fatto fuori il fratello (poliziotto) di uno dei due.
Il tutto è all'insegna del più Grande intrattenimento, si passa con grande disinvoltura dalla commedia al melò, dal musical alle scazzotate alla bud spencer.
Le sequenze (rigidamente divise in genere) sono autarchiche, quello che viene prima e quello che seguirà è accettabile per convenzione.
La narrazione cinematografica è un vista come mondo a se stante, non importa convalidare logicamente lo svolgimento dei fatti, il semplice susseguirsi delle varie azioni nel tempo della pellicola rende credibile il nesso fra A e B, sutura che (quando c'è) è attaccata con lo sputo.
Ma superando queste soglie della visione occidentalizzata, emerge una grande opera, dalle molte sfaccettature e che (proprio per la sua autarchia) non sembra risentire del passaggio del tempo (molto più datati i film di sci-fi americani del periodo) e è ancora in grado di offrire un onesto intrattenimento e una salutare evasione.
Onesto perchè non c'è la minima istanza pedagogica o ideologica, o almeno non ne ho vista, sebbene temi importanti come la corruzione, la questione femminile, le differenze religiose/razziali siano presenti nel testo.
Di grande evasione perchè mi sono lasciato andare (a più riprese) ad un grande spettacolo, che alterna una gran quantità di eventi e situazioni disparate, colori sgargianti, attori e attrici bellissime (le attrici ricordano le dive formose dei primi anni del cinema...ma oggi non è più cosi), balli e coreografie dal grande respiro (senza cadere ...quasi mai....nel Kitsch), che faranno sicuramente dimenticare per un po' i problemi medi dello spettatore medio indiano...che ha sicuramente più problemi di me...
Lo stile di recitazione (per noi occidentali al limite dello straniante) può far storcere il naso, ma dopo la prima mezz'ora non ci si pensa più, e ci si lascia trasportare dalle immagini.
I protagonisti sono invece dei veri e propri divi, semplicemente indimenticabile
Amitabh Bachchan, che mi sarebbe piaciuto averlo visto recitare anche in occidente...
La regia se non si può certo definire elegante, e qualche volta sembra un po' frettolosa, è sicuramente di grande efficacia, servendosi principalemente del piano sequenza e delle zoomate alla kong fu movie.
Realismo?....penso che la sequenza più realista del film sia quando uno storpio su un carretto con le ruote sfreccia per il traffico di Bombay cantando e ballando.
Il cattivo poi è cattivissimo, non mi stupirei se anche in austin power si siano ispirati a questo personaggio per il loro film (si vede male, è nella locandina in basso...non ho trovato immagini migliori..sigh).
mercoledì, dicembre 22, 2004
Salve....Vado a fare un'orgia di convenevoli natalizi a casa...tornerò nella prima settimana di Gennaio..ma forse tornerò a scrivere anche prima...forse no...in ogni caso se avete voglia di lasciare un commento fatelo....riuscirò a trovare un pc dal quale rispondere....
ciao a tutti...
ah dimenticavo
buon natale e felice anno nuovo.
Confine (il più militarizzato del mondo) Corea del sud e Repubblica Popolare(?!) Democratica (?!?!) di Corea. Un soldato della Repubblica salva la vita ad un militone sudcoreano, fra i due nascerà un'amicizia, ma causa il confine (e i massimi sistemi che gravano su di loro) gli eventi prenderanno una strada nefasta. Una agente Coreana/svizzera delal diplomazia degli stati neutrali (svezia e sviezzera) è richiamata in madrepatria per ricostruire l'esatto andamento dei fatti....le vicende narrate per flasback e flashforward.
Questo Park mi ha dato qualche scocciatura...i maledetti sottotioli non in sync...quindi ho visto un pezzetto di dumplings consigliato da
lui (dai three extremes ..... magnifico quello di Miike....l'ultimo lo devo ancora vedere sigh!) e la prima parte (argh....devo vederlo al più presto... argh...argh...maledizione!) di oldboy, sentito nominare continuamente in giro... Sulla scelta di questo film sono giunto grazie al titolo di questo
blog.
Sulla base del giallo si costruisce un film che tratta della divisione che lacera il paese da ormai 50+ anni.
Si guarda dagli occhi del sud, c'è l'accusa contro il regime del nord (quando mente i soldati si fotografano nell'avamposto comunista nell'inquadratura si occultano i ritratti dei Leader rossi) ma per il resto il film si mantiene immune da ideologismi, facendosi anche burla del gioco delle parti che le due fazioni adottano. Sembra esserci principalmente la volontà di superare un rigurgito del passato (la guerra fredda) , ma anche la consapevolezza che la strada della riunificazione è difficilissima (il nord teme di essere cancellato) e ostacolata (dalle armi) dal gioco di ruolo che entrambe le parti sono tenute a fare. E non si rispariano critiche (sottotesto) a nessuno (nemmeno a quelli con gli occhi a palla).
Ed è proprio nella sottile ironia che aleggia nel film (che viene a sollevare ogni tanto la narrazione dallo sconforto che reca una storia tragica su una situazione politica tremenda [pensate un po' se l'italia fosse divisa in due con a nord una repubblica popolare democratica leghista......brrrrrrrr] ), che ho trovato i punti di forza di questo lavoro.... più che nella ri-costruzione rompicapo dell'intreccio (di grande impatto, mai banale, e che riesce a generare grande curiosità...insomma per farla breve è un film scritto
con le palle).
Park mi è sembrato (oltretutto in un film dove era rischiossissimo usare uno stile "forte") un'eclettico del mezzo; tendine, zommate, carrelli, influenze occidentali(nella costruzione narrativa) che rendono il film estremamente esportabile malgrado la particolarità dei temi.
Riesce sempre anche a mantenersi (visto che i temi sono vanno a toccare i sentimenti di persone che hanno visuto e vivono sulla loro pelle quel dramma) nella soglia del buon gusto (la dove in oldboy [per quello che ho visto] si è potuto sbizzarrirecon grande successo) , mettendosi al servizio della storia e concedendosi qua e là un vezzo d'autore.
Da vedersi in accoppiata con Coast Guard di Kim Ki Duk.
domenica, dicembre 19, 2004
Questo film mi è stato consigliato da
Rat, che saluto e ringrazio.
Ne aveva parlato in merito a
questo film.
Il tutto è talmente ben costruito da sembrare posticcio. L'uso del mezzo è ridotto al minimo, si sta quasi sempre incollati alla nuca dei personaggi, ma siamo ben lontani da uno
stile 0, ci si muove fra influenze Godardiane e Bressoniane, ma sono nascoste, implementate nella storia (che si scopre piano piano senza annunciarsi) e mitigate dalla ricerca manierista (nel senso cattivo del termine) della complicità con lo spettatore, che si tenta di accalappiare con una vicenda dai numerosi risolvti drammatici confezionata senza sbavature, senza eccessi.
Assistiamo al pedinamento dei due personaggi, il film poggia sull'interesse che dovrebbe suscitare il rapporto misterioso/morboso che lega i due protagonisti, e i fratelli si distinguono nel fare emergere l'emozione là dove apparentemente non succede niente. Ma trattandosi oltretutto di un film psicologico (che digerisco poco) l'assenza quasi totale di azione (narrativa filmica e fisica), rende IMHO il film borioso e pesante.
Un film che (anche se costruito in maniera diversa: qui si parla pochissimo) penso non dispiaccia a chi ha apprezzato le invasioni barbariche.
Certo, si potrebbe stare a parlare dei risvolti della pische dei due e di come il padre, a contatto con il giovane assassino di suo figlio, spinto da diverse e contrastanti pulsioni, ritrovi in lui un nuovo pargolo al quale trasmettere il proprio know-how sul mondo.....
uff
venerdì, dicembre 17, 2004
Uscendo dal cinema, la prima cosa che ho pensato è stata che non porteremi mai mio figlio a vedere questo film, anzi, mi sono sentito anche imbarazzato nel vedere (uscendo dal cinema) un branco di pargoli accompagnati da qualche volenterosa mamma, la quale in questo momento si starà divertendo molto più dei suoi bimbetti.
La formula è la stessa del primo episodio: parodia (la più divertente quella depalmiana di Mission Impossible, con pinocchio nelle veci di tom cruise che penzola con le corde) , irriverenza innocua (cmq sempre piuttosto divertente) e manipolazione (anch'essa altrettanto innocua) sugli stereotipi /miti delle favole/cartoni (liberatorio quando la signora Shrek lancia fra le fauci degli squali una malcapitata sirenetta). Ma in questo film quella formula inizia a deteriorarsi, sicchè è obbligatoria una buona dose di battute/situazioni a sfondo sessuale, spassose senz'ombra di dubbio, che aiutano il film a raggiungere un livello accettabile (paragonato al primo film) ma che sono totalmente inaccessibili (almeno spero) ad un bambino, il quale troverà ben poco per il suo divertimento.
Che il film sia destinato principalmente ad un pubblico adulto se ne dovrebbero accorgere anche i sassi, non capisco perchè non lo facciano i genitori.
Ma torniamo al testo.
Ottimo tutto quanto concerne la realizzazione (l'animazione mimica è ben altra cosa rispetto a PolarExpress) , tanto che ormai è inutile parlarne.
Le atmosfere/ambientazioni si discostano leggermente dalla palude incantata e si fondono pacatamente/parodicamente con l'onda dei signori degli anelli.
Ciuchino è stato messo in secondo piano rispetto al primo Shrek (anche perchè dopo un po' inizia a rompere le palle davvero), dando maggiore spazio ad un personaggio come il gatto con gli stivali, che sebbenne qualche risata ce la conceda; è senza mezzi termini una delusione rispetto alle aspettative.
Il principe azzurro invece è il personaggio più riuscito, così preso dal proprio io e dalle proprie manie di protagonismo (meglio ancora del principe nano del primo capitolo).
L'unica genialata del film mi sembra essere la sequenza dove alla tv del regno di molto molto lontano trasmettono un programma che si chiama...grrr...merda nn me lo ricordo..cmq è un programma di quelli americani dove riprendono gli sbirri che ammanettano i criminali.
Soltanto che qui i poliziotti risplendono in un'armatura, arrestano shrek ciuchino .....e al gatto con gli stivali gli trovano una bustina di erba gatta......mi sono piegato dalle risate (da solo).
giovedì, dicembre 16, 2004
Purtroppo non sono riuscito a vedere anche Wild Animals (il suo primo lungometraggio) che cercherò di recuperare in seguito, ma ormai sono deciso a postare quello che mi è rimasto in mente dei suoi film :
La solitudine/emarginazione
La violenza.
La tinta gialla (della casa sull'aqua di the isle, delle scritte sui muri di Birdcage inn, delle pietre dipinte di Samaria).
Le ragazze che si infilano/tolgono le mutande.
Le "ooooo" in finale di frase del coreano.
I luoghi intimi soli in mezzo all'acqua (the isle. Samaria, PEAIP).
Le carceri di ferro 3 e badguy.
Quel liquore bianco in bottigliette verdi con il quale si sbronzano in praticamente ogni suo film (penso sia vino di riso).
La sequenza dell'interrogatorio di Ferro 3.
La lastra di vetro che trafigge BadGuy.
Le sofferenze dell'amore. (perdonatemi, non volevo parafrasare il film italiano).
La via della vendetta del protagonista di Real Fiction.
I pesci, sopratutto quelli affettati di the isle.
Spero di non essermi dimenticato nulla...
e finalmente dovrei avere chiuso con KKD.
lunedì, dicembre 13, 2004
Deciso a recuperare tutta la filmografia del regista coreano (rinunciando a crocodile per il momento) , in questi ultimi giorni non ho visto altro che film di kim ki duk.
Anche the isle è un film sulle marginalità, dove tutti sembrano incarnare sia il carnefice che la vittima. La colpa è innata nell'essere umano, i personaggi cercano la redenzione. L'amore è presentato non come una forza che aiuta a superare le difficoltà... è più un percorso straziante e violento; che magari non cancellerà le colpe, non riabiliterà alla società. Ma che, anche nella sua morbosità e crudeltà aiuta ad allievare le sofferenze, perchè siamo come i pesci affettati vivi per il sashimi, la carne è lacerata in profondità, tuttavia continuiamo a nuotare.
A KKD non sembra interessare molto la coerenza narrativa, l'0rganicità della struttura, ma nemmeno la destrutturazione, alcune sequenze sono poi prive di plausibilità (la protagonista come lo carica e scarica da sola un scooter su una barca?....per non parlare dell'immortalità in Bad Guy o l'immaterialità in Ferro 3) , Il regista si preouccupa di visualizzare il dolore, la solitudine, la ricerca dell'amore/redenzione; tutto il resto emergerà da quegli elementi.
La struttura non sembra essere prestabilita e nemmeno molto "ragionata", ma appunto perchè quello di KKD è un'approccio libero al mezzo, libero da ogni imbarazzo linguistico, arriva sempre a rappresentare il riprovevole in modo sincero, andando a toccare il profondo dell'animo umano., quello del regista coreano è un cinema profondamente, carnalmente umanista.
Mi sembra anche che KKD sia andato emancipandosi da un certo simbolismo che appesantisce
anche questo film. Sembra essersi raffinato nella regia, tuttavia continuando a mostrare una violenza cruda e apparentemente cieca e immotivata (è innata nell'essere umano pare dire KKD).
Non ho visto Address Unknown, ma penso che con Bad Guy si sia aperto un nuovo ciclo nella filmografia del regista coreano, con una maestria sempre maggiore riesce a mostrare ad un pubblico sempre più vasto e "mainstream" la violenza, la marginalità, il disagio, se c'è stato un compromesso, (almeno che non sia avvenuto prima di questo film) è stato più con la forma che con il contenuto,
...insomma, si può accettare tutto, purchè ben "confezionato", qualche compromesso con la forma lo si può anche fare per ampliare il proprio target (con esiti su cui ho già fatto un
panegirico) ... Forse se anche Miike curasse un po' più la forma (cosa che ha dimostrato di saper fare) verrebbe distribuito e accettato anche da noi, ma a lui non penso interessi diventare celebre in occidente...e a noi ci piacciono i film come li fa adesso.... così potremo continuare a parlarne quanto diavolo ci pare....
sabato, dicembre 11, 2004
Dopo che pressochè ogni membro della comunità dei cineblogger aveva proclamato il proprio film-feticcio...adesso, con un ragionevole ritardo, mi accingo scrivere del mio.
Berlinguer ti voglio bene. Non voglio parlare del film (magari lo farò prima o poi).
E' un film con cui sono cresciuto, che nn mi stanco mai di guardare, anche perchè dalle mie parti è un oggetto di un vero e proprio culto lingusitco.
Nelle case del popolo, in un qualsiasi bar di un paesino a caso, si può ancora sentire parlare in quel modo, con quello stile colorito e personale, ognuno è caricatura/macchietta di sè... il declino di un mondo (la civiltà contadina ormai metropolitanizzata che descrive il film) è ancora in atto, nelle sue fasi finali... e il piacere che provo ad ascoltare i monologhi/turpiloqui del film è lo stesso che provo quando entro nella casa del popolo del mio paese. Squallore, senza dubbio, ma di una tale intensità e carico di malinconia che mi vengono le lacrime agli occhi (a metà fra la crisi di riso e la nostalgia) ogni volta che sento: "Sono stato a san moriz.. si ini svizzera, vedessi che fihe, tutta roba snob, sigarette ai mentolo, champagne....quelle dell'albergo...l'ho trombate quasi tutte!...c'era due attrice e mi guardavano... piacere sono un'attrice....O LECCAMI STA 'OMPARSA!.... l'ho sdraiata e l'ho trombata!.."
giovedì, dicembre 09, 2004
Un bimbo inizia a dubitare su babbo natale. Passa un treno che lo porterà al polonord affinchè possa continuare a credere nello spirito natalizio.
Dopo la visione del film devo dare ragione ai miei timori fomentati dal trailer; la "recitazione" di questi personaggi sintetici è inguardabile, i movimenti corporali sono innaturali (a dispetto delle tecniche utilizzate) quelli facciali sono schifosi. Non sono proprio riusciti (in confronto alla pixar) a dare un'anima ai loro personaggi, e non basta un Tom Hanks che si fa in quattro (o 5), non si è riusciti (perchè la tecnologia lo permette) a dare una mimica convincente (IMHO siamo tornati indietro rispetto a
Final Fantasy), e se la grafica per gli oggetti e tutto quanto sia inanimato è di pregiata fattura e quanto possibile "realista", un qualsiasi videogame sugli scaffali in questo momento sa rendere almeno uguale a questo film (se non meglio) i movimenti umani.
E' un film natalizio per bambini. Inutile parlare del contenuto.
E Zemeckis? La piuma di Forrest Gump qui diventa un biglietto del treno, e non avrà nessun tipo di costrizione, può dirigersi in ogni dove e in ogni modo. In un interminabile e mirabolante pianosequenza (è ancora il caso di chiamarli così?) il biglietto verrà sospinto dal vento (e da quello che capita) in ogni direzione, compiendo un'improbabile e fluttuante tragitto che la mdp virtuale segue senza nessun minimo problema (tanto non bisogna sottostare alle leggi fisiche).
Per il resto il treno è un ottovolante, il film un'esibizione da Luna Park, ipercinetico e denso di emozione (fine a se stessa).
Mah.
mercoledì, dicembre 08, 2004
Mi sono beccato l'influenza.
Non scriverò fino a quando non sarò tornato in piena salute.
Ciao
domenica, dicembre 05, 2004
Un ragazzo entra nelle case momentaneamente disabitate. Si appropria dell'anima (utilizzandone gli oggetti) degli abitanti e ne approfitta per fare alcuni lavoretti di casa. Incontrerà una donna, che privata dal marito della propria identità, seguirà il giovane di casa in casa per trovarne una....
Non ho parole per spiegare questo capolavoro, è il mio primo Kim ki-duk (maledizione ho un'altro fottuto regista da recuperare) e non posso che mettermi anche io a decantarne le lodi.
Uno sguardo sulle marginalità, nell'impossibilità di trovare un posto nella società, si rifiuta la convenzione del linguaggio (solo nei due protagonisti) e per rappresentare la vita/sogno e dare corpo (senso) alle immagini viene in aiuto Bresson, mani (e piedi) intenti nei lavori domestici, in azioni banali, in gesti meticolosi, da cui emerge la fatica (di vivere) e l'alienazione di questi due personaggi. Che troveranno un'identità solo dopo la ribellione (della donna al marito, del ragazzo vs l'autorità). E' una ribellione muta, che ha la forza dell'imperturbabilità, le sue radici nell'amore, la sua metà il diritto ad esistere, ad avere un posto nella collettività, anche se alle spalle e da invisibile.
Non ci si annoia mai, anche se sullo schermo non succede praticamente niente, qua e la una scena ironica, amara, che viene a spezzare il senso di oppressione che si respira per tutto il film.
Nella sequenza all'interno del commissariato (dove è il colore nero a dominare su tutto), si capisce perchè sia inutile la parola. Chi non è integrato è colpevole. Si potrebbe parlare, ma non si verrebbe capiti, si può esercitare la violenza, ma solo una piccola elite è autorizzata a farlo. Non rimane che nascondersi, lasciare scorrere su di sè l'autorità, divenire invisibile, sentire con il corpo, emanciparsi per riappropriarsi dei ricordi/sogni.
Smettere di sognare una vita serena e borghese (che non esiste) per affrontare i problemi della quotidianità.
Ma la frase che chiude il film ci insinua un sospetto....e se tutto quello che ho visto è una fantasia della protagonista?.... dall'oppressione, dalla violenza, dalla repressione non c'è salvezza.
Anche la musica è Bressoniana, non c'è suono che non sia nell'immagine.
Quante cose si possono esprimere con la mano, la testa, con le spalle! .... Quante parole inutili e ingombranti spariscono allora! Quale Economia! R. Bresson [note sul cinematografo]
venerdì, dicembre 03, 2004
Laureando in economia ritorna per uno stage nella fabbrica del suo paese. Viene assegnato alle "risorse umane". Succedono delle cose. Il padrone licenzia 12 dipendenti fra cui il padre del protagonista. Scatta l'indignazione nel giovane studente istruito alle teorie (neo)liberiste. Passa dall'altra parte delle barricate.Blocco della produzione. Il giovane ad un operaio "...e
tu quando è che parti?.....dove è il
tuo posto?..."
.
Dramma politico social-operaio.
Sulle orme di Loach si muove questo giovane regista francese (qui al suo primo lungometraggio) , ne riprende la retorica, ma banna l'ironia. Nessun tipo di enfasi sulla lotta operaia: l'unica scena (quando il figlio convince il padre a spengere la macchina) che sarebbe andata a nozze con la retorica sinistroide (intendo tutti i colori del rosso) e la trance ideologica (tanto questo film qui se lo guardano solo i comunisti ^_^), viene spezzata sul nascere da un monologo straziante che impedisce qualsiasi trasporto emotivo.
Taglio documentaristico.
Disilluso, amaro.
Ottimamente diretto, la mano è pressochè invisibile, ma le due forze divergenti che attraggono il giovane studente (uffici vs officine) vengono visulizzate sapientemente, indugiando qualche secondo su campi lunghi/medi (porte che prima si aprono e che poi si chiudono) che combinati ad un ottima direzione (nei tempi) degli attori, riesce a mostrare eloquentemente le aspirazioni/emozioni del protagonista, utilizzando i dialoghi principalmente per portare avanti la storia.
Visto che in questi giorni sembro essere perseguitato dalle
leggi di Murphy, e ieri mi sono visto un
documentario scoraggiante, oggi ho deciso di continuare il mio masochismo audiovisivo.
Ci sono riuscito benissimo.
giovedì, dicembre 02, 2004
Si sostiene che Bush è un burattino nelle mani di una Mafia.
Si Documenta e si sostiene la tesi, facendola emergere alternando quello che Bush sembra pensare e i rapporti che ha con le varie lobby ad accuse pesanti che gli vengono mosse da persone credibili e per la maggior parte conservatori (membri dei servizi segreti, ex politici sotto Regan o Bush padre, intellettuali....ecc ecc).
Dopo la visione di questo documentario francese ci sono un paio di cose che Mister Moore mi dovrebbe spiegare:
Come mai non ha parlato dei soldi che Nonno banchiere Bush (il padre di Bush padre) prendeva dai nazisti, e utilizzava anche manodopera dei campi di lavoro in polonia per le sue fabbriche.
Perchè si concentra solo sulla pista Saudita, evitando di spiegare i rapporti che legano Bush e i suoi burattinai alle lobby sioniste e alla destra ultracristiana, la mafia italiana...
Perchè non ha il coraggio di dire quello che ha detto in questo documentario Robert Steel (CIA)"per le multinazionali l'etica non esiste, verrebbero a patti col diavlo pur di arricchirsi" e ancora "sono una piccola e ben organizzata
mafia che si è approfittta del sistema pubblico"(riferito allo staff di Bush).
A livello estetico niente di lontanamente paragonabile al lavoro di Moore, ma se l'intento è documentare ci si dovrebbe concentrare principalmente sul contenuto, lasciando la ricerca estetica in secondo piano e soprattutto bandendo il melodramma..
In questo documentario troverete solo interviste e orazioni.
Chi accusa e chi cerca di nascondere la verità.
Una tesi c'è ed è ben visibile, ma emerge fra intervista e intervista, non c'è niente che si vuole imporre
mezzo retorica come ha fatto Moore.
Da non perdere.
mercoledì, dicembre 01, 2004
Su invito di
Kekkoz mi appresto a scrivere qualche impressione (e poco più) su DD.
Quello che non mi è piaciuto:
Il Lynchismo. Per fotogafia, montaggio, svarioni e conigli. Sono un grandissimo estimatore di Lynch, ma l'utilizzo di quei codici per la semplice ricerca dell'
effetto lo trovo stucchevole e segno di immaturità registica.
La storia inutile, banale e noiosa.
La colonna sonora. ma per gusti personali. E' anche azzeccata...ma proprio non fa per me.
L'aura di cult che gli è stata affibbiata, è solo l'ombra di un cult.
L'inaccettabile paragone con Ritorno al futoro. Quello si che era un Cult, IMHO soprattutto il secondo.
Quello che invece mi è piaciuto:
La critica sociale (indirizzata principalmente a neo-con e destra cristiana) pungente e veloce , sparsa qui e là per tutto il film.
L'ambientazione in epoca pre elettorale (di Regan) .... Il film è sull'america di oggi e non su quella degli anni 80. Kelly si era accorto che l'america era di fronte ad una scelta decisiva.
La ribellione anarcoide che scorre sottopelle per tutto il film...anche se poi l'ordine si ristabiliscie (ma non possiamo chiedere alla mucca di fare le uova) c'è una spinta pro-pulsiva verso la distruzione/creazione (come si ripete un paio di volte nel film)
L'attrice protagonista. ogni tanto vedere un'attrice in carne e ossa dopo diversi giorni che vedo solo ammucchiate di Pixel fa pur sempre piacere.
La recitazione, al limite dello straniante. Può dare fastidio, io l'ho trovata un modo intelligente (ma fallito) di superare l'ampollosità del film.
Ma secondo me è un film giudicabile solo fra qualche anno...è un film da invecchiare...o migilora...o diventa aceto.